Tre città, tre realtà a confronto con le sfide dell’apprendimento accademico ai tempi del Covid-19. Quelle misure che sembravano inizialmente temporanee sono divenute parte integrante di una prospettiva di lungo corso. Così è stato, per gli atenei, il ricorso alla leva digitale per favorire la continuità dell’esperienza accademica, posta in discussione nel suo format tradizionale dai ripetuti lockdown. La progressiva modifica dalla didattica convenzionale alle forme ibride è destinata a proseguire nonché ad avanzare di livello. La conferma è arrivata proprio dall’evento Affrontare il cambiamento nella formazione. Il progetto prevede la realizzazione di un ecosistema di tecnologie per apprendere, promosso dal Dipartimento del commercio dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America e dal software di video management Panopto.
Pollenzo, Verona, Bologna: l’importanza di valorizzare la tecnologia
Sul tema di questo approccio ibrido all’apprendimento, l’Università degli studi di Verona, l’Alma Mater Studiorum di Bologna e l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo rappresentano tre esperienze che enfatizzano l’importanza di valorizzare la tecnologia al fine di raggiungere l’obiettivo generale della trasmissione del sapere. Gli atenei hanno esigenze didattiche differenti, che cambiano anche in relazione alla loro morfologia. L’Università che ha sede a Pollenzo, ad esempio, ha una sua comunità di riferimento, un ateneo tematico con una componente esperienziale forte. Venuta meno questa possibilità durante l’anno trascorso, l’ateneo ha virato interamente sul digitale, spingendosi a proporre strumenti come viaggi virtuali e degustazioni da remoto.
A Verona, l’attenzione all’innovazione della didattica era già realtà, mentre una riflessione importante sulle tendenze del futuro è ancora in corso. Non meno rilevante è l’osservazione degli impatti dell’insegnamento da remoto sul diritto allo studio, più in generale. Gli studenti, grazie al virtuale, seguono sempre le lezioni, a prescindere da mobilità, problemi connessi alla salute, e cresce l’inclusività delle persone con abilità differenti. Un aspetto che non guarda solo alla didattica nuda e cruda, ma anche a tutti quei servizi che un ateneo dovrebbe erogare – come l’orientamento e le biblioteche, ad esempio – interamente attuato attraverso tool tecnologici.
Bologna, sede di un’Università dai grandi numeri e dalla grande storia, è tutt’ora in corso con dei lavori che possano favorire l’evoluzione della formazione in digitale. Come ha spiegato Enrico Lodolo, dirigente Area Sistemi e servizi informatici, dopo la reazione allo choc della chiusura dell’ateneo, il ragionamento è poi virato sugli scenari di medio lungo termine, al fine di invitare il corpo accademico a partecipare ad un modello più complessivo di virtual learning environment. L’Alma Mater sta dunque lavorando allo sviluppo di un modello che comprenda quattro livelli: il primo, quello del self service, in cui il professore produce contenuti base e materiali didattici; un secondo livello, dove saranno disponibili una decina di sale di registrazione per creare materiali intermedi; un terzo livello, per la produzione del patrimonio dell’ateneo che guarda oltre il contingente; infine l’ultimo livello per arrivare alla produzione di Mooc, massive open online course.
Obiettivi ampi ed esigenze pratiche
Per gli atenei, innovare significa anche scegliere gli strumenti attraverso cui farlo. Elemento comune alle tre università citate, e a molti altri in Europa e nel mondo, è l’utilizzo di Panopto, la piattaforma che consente di registrare e condividere video, usata da molte istituzioni accademiche in Europa e nel mondo.
Agli atenei è richiesto di proseguire sulla strada intrapresa: secondo i risultati della consultazione pubblica lanciata nel giugno 2020 sul nuovo piano per l’istruzione digitale della Commissione europea, il 95% degli intervistati ritiene che la pandemia da Covid-19 sarà il punto di non ritorno per l’utilizzo della tecnologica a favore dell’istruzione e della formazione; il 60% ritiene di aver migliorato le proprie competenze digitali durante questa fase e oltre il 50% non si accontenta e vorrebbe fare di più.
Costanza Falco
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