Non aveva proprio le sembianze di un torneo di tennis, e quando si è iniziato a giocare, sono andati di pari passo gli infortuni: problemi agli addominali, alla schiena, alle gambe. Il torneo ha iniziato a cambiare nome, una spada pendente ha iniziato a definirlo l’Injury Open. Le bandiere bianche venivano alzate prima delle gare, e gli interventi dei fisioterapisti erano continuamente richiesti. Attorno a questa competizione – arrangiata e comunque allestita con ostinazione – il pubblico appariva e scompariva seguendo i dati della curva di contagio. Lo abbiamo visto sugli spalti dopo la prima settimana, con una voce che esprimeva una rinata voglia di partecipare, di vivere la competizione sportiva, poi lo abbiamo visto battere in ritirata nel corso di una gara, lasciandola al suo silenzio. È stato quindi un miracolo che ci sia capitata la finale migliore tra quelle possibili.
Il tema era sempre quello: re vs regicida
Novak Djokovic, Il re di Melbourne Park, e Daniil Medvedev, fra i tennisti della nuova generazione il più pronto, di sicuro il più spietato e difficile da affrontare. Mai come a questo giro, la detronizzazione sembrava alla portata: ragioni contingenti, dalla più semplice: Medvedev sembrava più in forma. Lungo il percorso che ha condotto alla finale, si era lasciato sfuggire solo due set, entrambi con Krajinovic, persi in modo strano e poco significativo. Arrivava dalla vittoria delle ATP Finals e da una striscia di 20 vittorie consecutive, 10 delle quali ottenute contro Top-10. Con un tennis enigmatico, in semifinale aveva battuto Stefanos Tsitsipas.
Medvedev, però, non aveva solo vinto le gare, le aveva dominate, come se fosse tutto molto semplice e automatico. Ha domato avversari attorno alle idee che gli andavano più a genio, ma ha altrettanto saputo alzare l’asticella a vette impossibili nei momenti chiave.
Dall’altro lato della rete un Djokovic stanco. Dopo un 2020 disastroso, a casa sua durante gli Australian Open, si è fatto male agli addominali e ha trascorso i primi turni a domandarsi se non fosse il caso di ritirarsi. Però nel mentre vinceva, perdeva set, ma vinceva. Non si era mai presentato ad una finale slam perdendo così tanti set: cinque. Ai quarti ha sfidato Zverev e l’ha battuto trasformando una guerra di colpi in una guerra di nervi. In semifinale Djokovic ha vinto contro Karatsev con un autoritarismo degno di nota, ammettendo lui stesso che non sentiva più dolore.
Quindi chi era il favorito?
Per i tifosi, Medvedev, ma i bookmakers gli davano solo il 41% di possibilità di vittoria.
Definire quella di Djokovic una semplice vittoria sarebbe riduttivo. È stato come se Djokovic si fosse divertito a giocare a L’allegro chirurgo con Medvedev, togliendogli un pezzo dopo l’altro. Descrivere questa gara equivale a parlare di un atleta che ha fatto letteralmente soccombere l’altro fino a renderlo irriconoscibile. A fine partita, il russo era nervoso, quasi spaesato, un’immagine decisamente lontana da quella freddezza manipolatrice a cui ci aveva abituato. Una vittoria di Medvedev, del resto, avrebbe avuto un significato epocale. Lo avrebbe condotto al secondo gradino della classifica mondiale, posto che dal 2005 non è occupato da altri che da Djokovic, Murray, Federer e Nadal.
Nel prepartita, Djokovic ha parlato di Medvedev: “Non è ancora arrivato il momento per la nuova generazione di sorpassarci”. Sembrava un richiamo d’orgoglio, tuttavia – è strano dirlo a posteriori – forse Djokovic ha iniziato a temere Medvedev perché ci si rivedeva. Sapeva che per vincere avrebbe dovuto condurre una gara perfetta, con la massima applicazione tattica possibile, non permettendo al russo di stare in comfort zone, il che voleva dire fargli prendere ritmo.
Tempo e gestione: elemento chiave della partita
Djokovic ha giocato ogni colpo e ogni scambio in modo affilato, era impossibile giocare a tennis in modo più razionale di così. Dall’altra parte della rete Medvedev andava di fretta, come se contraendo il tempo si sarebbe trovato alla fine delle proprie difficoltà. Nel secondo set ha cominciato a sbagliare sempre di più, e i pezzi del suo gioco sono caduti uno dopo l’altro. Più sbagliava, più sembrava voler aumentare la velocità della gara. Prima stratega, poi lo abbiamo visto perdere la capacità di riequilibrare la gara, non riuscendo a rimanere lucido anche nelle difficoltà. Ad oggi Medvedev, quando è al top della sua forma, è forse già un colpitore migliore di Djokovic, ma colpire la palla con la racchetta e giocare a tennis – ce lo dimentichiamo troppo spesso – sono due esercizi diversi.
Costanza Falco
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