Il mondo dello sport è stato investito prepotentemente dalla crisi dovuta al coronavirus. Niente più partite la domenica, niente Olimpiadi. Tutto fermo. Chi ne risente ulteriormente sono quei movimenti più “deboli”, dove girano meno soldi. Anche quelli che erano ad un passo dal tanto atteso salto di qualità. Un esempio? Il calcio femminile. Infatti lo sport più praticato al mondo da qualche anno aveva visto una crescita esponenziale anche per le donne. In Italia soprattutto si stava affermando come un movimento solido, con sempre più spettatori a seguire le calciatrici.
I momenti più alti sono stati il tutto esaurito all’Allianz Stadium di Torino per il big match tra Juventus e Fiorentina (è vero, i biglietti erano gratuiti, ma si parla di 40.000 persone) e il grande Mondiale della nostra nazionale, un bellissimo percorso terminato contro la squadra di un paese troppo più organizzato e “avanti” come l’Olanda. Nonostante ciò e nonostante gli accordi per trasmettere il campionato su Sky, attualmente in Italia le calciatrici sono ancora dillettanti. Un problema di status e normativo non da poco.
Situazione campionato
Se la Serie B femminile, come i campionati minori e giovanili, è stata stoppata definitivamente, per la Serie A c’è ancora qualche spiraglio di poter tornare in campo per concludere la stagione – mancano sei giornate – e permettere al campo di dare i suoi verdetti. Una ripresa non facile. Perché il protocollo che verrà applicato al maschile sarà impossibile da applicare al femminile (specialmente per le squadre che non hanno alle spalle club professionistici). E ne servirebbe quindi uno ad hoc, magari con anche un sostegno economico da parte della FIGC.
In questo senso è arrivato forte e chiaro l’appello di una delle calciatrici più rappresentative, il capitano della Juventus Women e della Nazionale, nonché consigliera federale in quota AIC. Ovvero Sara Gama che ieri sera ha ribadito che per tornare in campo servono le stesse tutele sanitarie dei colleghi uomini. E ribadito la necessità di avere risorse economiche per poter vivere da professioniste nonostante il loro status sia quello di dilettanti.
“Ci aspettiamo pari tutele sanitarie dei nostri colleghi uomini, che venga redatto un protocollo ad hoc perché quello dei dilettanti per noi non va bene per riprendere. Attendiamo poi anche le risorse per tornare ad allenarci e vivere da professioniste quali siamo – continua Gama -. Le calciatrici oggi sono consapevoli di essere professioniste a tutti gli effetti e quindi si aspettano un riconoscimento ufficiale del loro status. Quello che conta è il salto di qualità bisogna approdare al professionismo. Siamo a un bivio, ma nei momenti di crisi ci sono anche grandi possibilità, si può riformare”.
La crisi come opportunità
Il rischio, come spiegato precedentemente, è infatti che la crisi economica possa affossare la crescita di un movimento giovane, che stava spiccando il volo e uscendo dal cono d’ombra in cui era finito per molti decenni e guadagnando sempre più visibilità su tutti i media. La crisi potrebbe portare a tagli negli investimenti diretti (ovvero a parte dei club, specialmente quelli minori) e indiretti (ovvero sponsorizzazioni e diritti tv) che si ripercuoterebbero sulle calciatrici che già oggi in molti casi non riescono a vivere di solo calcio (senza contare che non possono contare sui contributi previdenziali e di conseguenza su una pensione futura).
Il professionismo, per cui si è fatto un piccolissimo passo in passato, non è più rimandabile soprattutto in un momento così difficile. La Federazione, se davvero tiene e crede a questo movimento e a queste ragazze, deve fare tutto il possibile per spingere il Governo a lavorare in questa direzione e mettere mano alla legge che impedisce alle atlete – non solo alle calciatrici – di accedere al professionismo. Perché, come dice Gama, la crisi diventi occasione per riformare e cancellare una disparità di genere che nel 2020 suona alquanto stonata.
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