Con il lockdown abbiamo perso l’abitudine a rapportarci con gli altri, almeno fisicamente. Oltre due mesi chiusi in casa ci hanno allontanato da amici, colleghi e in molti casi anche dai familiari. Il Mondo di colpo si è ristretto: sono tornati i confini, sono state recuperate differenze e barriere. Anche per i Governi dei paesi nel mondo non è stato facile, dovendo spesso rinunciare ai normali rapporti commerciali e diplomatici. Uno stop inaspettato a un fenomeno in continua ascesa come la globalizzazione. In questo contesto è necessario attivarsi per trovare soluzioni concrete per rimettere in moto la macchina mondiale. E il protagonista come spesso accade è il design.
Parola d’ordine innovazione
Nell’attuale e drammatico frangente, si è tacitamente attivata e si sta sviluppando – in Italia e nel Mondo – una grande operazione di design, con la riprogettazione di sistemi di relazioni, assetti di alleanze, modalità di interazione. Su scala nazionale, emergono con chiarezza due interessanti e innovative linee di tendenza. Tutti incidono in modo positivo sulle antiche attitudini del tessuto produttivo italiano all’individualismo e all’egocentrismo. In primo luogo, l’emergenza spinge molte aziende ad avere un approccio più coraggioso e aperto in merito al proprio patrimonio conoscitivo. Il tutto abbassando in qualche modo le paratie che le divideva dal mondo esterno e sperimentando inedite forme di collaborazione. Questo senza rinunciare al proprio prezioso know-how e senza ammainare il vessillo della propria specifica identità, ma trovando anzi il modo di valorizzarli mediante modi nuovi di interagire e fare rete con altre imprese.
In secondo luogo, le aziende rendono più forti e più evidenti le connessioni tra la propria attività e l’interesse pubblico. Manifestando in modo esplicito la volontà di conciliare i propri interessi con quelli della collettività. Questo in un quadro di crescente e doverosa sensibilità verso i temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Nonché di pronunciata attenzione ai paradigmi dell’economia circolare. Quanto sopra, naturalmente, per le imprese non significa venire meno alla propria ontologica mission di creare ricchezza. Ma semplicemente farlo in modo più moderno, nella consapevolezza del rapporto di osmosi tra i risultati aziendali e il bene pubblico.
Il caso Isinnova
Significativa appare in questa ottica la vicenda di Isinnova, giovane azienda di Brescia fondata da Alvise Mori e Christian Fracassi, meritatamente salita di recente agli onori della cronaca. L’impresa, nel momento in cui l’Ospedale Chiari lamenta una drammatica carenza di valvole per le macchine di rianimazione, mette in campo il proprio know-how e – rispondendo alle sollecitazioni in particolare del Dr. Renato Favero, primario in pensione dell’Ospedale di Gardone Valtrompia – modifica in tempi brucianti la maschera da snorkeling Easybreath di Decathlon in una maschera per la respirazione da ospedale. Il tutto realizzando un innovativo componente per il raccordo al respiratore, battezzato come valvola Charlotte.
Ha dichiarato Marco Ruocco, Project Officer & Analist, in una intervista su www.economy.up del 16 aprile 2020: “La valvola è stata brevettata per evitare future speculazioni, ma tutto il progetto è disponibile on line e chiunque può scaricare la documentazione e stampare liberamente la valvola, purché non la utilizzi con finalità commerciale”. Isinnova, tra l’altro, aderisce all’iniziativa di Orgoglio Bresciano, consistente in un inedito coordinamento – nato su impulso di Nereo Mariotto (ABL Automazione) – tra diverse aziende dell’area. Le imprese partecipanti al cluster, pur restando realtà rigorosamente autonome e forti della propria identità, hanno messo da parte gli eccessi di individualismo e hanno iniziato ad operare in modo organizzato, conciliando gli interessi aziendali con le esigenze del territorio.
Nel resto del mondo
Allargando lo sguardo ai rapporti di natura internazionale, appare evidente che anche su questo piano si sono attivati movimenti di largo respiro, ancora ad uno stadio decisamente embrionale, ma incontrovertibilmente riconoscibili. Borge Brende, Presidente del World Economic Forum, afferma in un intervento pubblicato su Business Insider del 26 marzo 2020. “È nella natura umana sentirsi più minacciati da ciò che si sente più vicino. Tuttavia, il pericolo potenziale esiste quando un rischio si annida lontano dalla nostra visione collettiva, perché può non essere affrontato, e noi possiamo essere impreparati ad affrontarlo quando si manifesta”.
Da più parti si sottolinea che la risposta a questa ambivalenza, amplificata dall’emergenza del Covid-19, vada ricercata nella riscoperta di una solidarietà internazionale. Nel suo intervento per i 70 anni dalla Dichiarazione Schuman, Ursula Von der Leyen, ad esempio, ha riaffermato l’opportunità di riscoprire questo principio come requisito per sconfiggere il virus, rilanciare l’economia ed affrontare la sfida climatica. Nessuno ce la fa da solo. Occorre dunque elaborare nuovi modi di lavorare.
Anche i governi
Vale per le imprese, impegnate a ripensare le catene globali del valore, in ottica di accorciamento e di reshoring, Fenomeni generati dalle nuove tecnologie digitali, per la verità, e dunque riferibili alla Quarta Rivoluzione Industriale, che la crisi accelera in maniera esponenziale. Ma vale anche per i governi. Un mondo asimmetrico, incerto, volatile va affrontato adeguando gli strumenti in nostro possesso, o creandone di nuovi. Anche le relazioni internazionali subiranno un restyling, con ogni probabilità definito attraverso gli assi dell’innovazione e della sostenibilità.
Ancora non conosciamo i dettagli. Ma è lecito immaginare che stia per aprirsi una fase di relazioni internazionali “sperimentali”, riorganizzate sulla base di un nuovo design. Come ogni “spazio”, anche quello della solidarietà internazionale dev’essere pensato, disegnato e arredato in funzione del bisogno di chi lo “abiterà”. Sbagliare questa fase di progettazione, o di co-progettazione come sembrerebbe più corretto definirla, significherebbe perdere l’occasione offerta dalla crisi. E gettare le basi per un futuro segnato da spinte egemoniche, o da individualismi di Stato. Un pericoloso ritorno al passato.
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