Il lockdown totale non poteva che avere riscontri negativi economicamente parlando. Tra ristoranti e bar chiusi, attività di produzione sospese e negozi con serrande abbassate la situazione in Italia, come in Europa, è molto pesante. Il dossier Istat sul primo trimestre 2020 parla chiaro. Nel primo trimestre di questo nefasto 2020 il Pil italiano è crollato a -4,7% rispetto al trimestre precedente, l’ultimo del 2019. La variazione acquisita per il 2020, ossia se nei prossimi trimestri si registrasse una crescita zero, è pari a -4,9%. “La flessione del Pil – scrive l’istituto – è di un’entità mai registrata dall’inizio del periodo di osservazione dell’attuale serie storica che ha inizio nel primo trimestre del 1995“.
“Il Pil – scrive ancora l’Istat – ha subito una contrazione di entità eccezionale indotta dagli effetti economici dell’emergenza sanitaria e dalle misure di contenimento”. Come dicevamo prima, il calo delle principali componenti produttive e della domanda, sia nazionale sia estera, ha portato di conseguenza allo scenario attuale. L’istituto evidenzia poi che a causa delle difficoltà nel raccogliere dei dati la stima potrebbe essere suscettibile come sempre di ulteriori correzioni. Revisioni che in questo caso potrebbero essere “superiori alla norma”.
Il dato italiano oltretutto si incardina in uno più complessivo altrettanto allarmante arrivato dall’Eurozona. Nel primo trimestre il Pil è calato del 3,8%, mettendo a segno il calo più importante dall’inizio delle serie temporale nel 1995. Il tutto a dimostrazione che il problema è inevitabilmente da considerarsi comunitario.
Il mercato del lavoro, dati da leggere attentamente
Un altro effetto collaterale della quarantena riguarda l’occupazione. Chi cercava lavoro è stato costretto a rimandare la ricerca d’impiego, e non tutti quelli che ce l’avevano sono riusciti a mantenerlo. Molte aziende hanno optato per tagli del personale per sopravvivere in questo difficile momento. Nonostante questo, interpretando i numeri, possiamo affermare che il mercato del lavoro regge temporaneamente all’urto del coronavirus. A marzo infatti, secondo i dati diffusi oggi dall’Istituto gli occupati sono calati di 27 mila unità rispetto al mese precedente a fronte tuttavia di un forte aumento degli inattivi, coloro che cioè non hanno un impiego nè lo hanno cercato, cresciuti di ben 301 mila unità. Anche in questa luce va letto così il calo del tasso di disoccupazione, sceso all’8,4% (meno nove decimi di punto rispetto al mese precedente). Il tasso indica il rapporto tra il numero di persone che non hanno un impiego e lo cercano sul totale della popolazione attiva. Un numero, quello di chi cerca lavoro, drasticamente calato a marzo, a tutto vantaggio dell’aumento degli inattivi, e che quindi contribuisce ad abbassare sensibilmente il tasso di disoccupazione.
Di sostanziale tenuta del mercato del lavoro parla anche l’Istat nel suo commento ai dati. “A marzo 2020, nonostante l’emergenza COVID-19, l’occupazione ha registrato una sostanziale tenuta, anche per effetto dei decreti di “sostegno all’occupazione e ai lavoratori per la difesa del lavoro e del redditi”. L’emergenza virus e la difficoltà a raccogliere i dati ha impedito all’istituto di fornire alcuni delle consuete disaggregazioni del dato. Se si guarda però al dato di genere, si osserva che l’incremento degli inattivi è molto più marcato tra gli uomini (+191 mila) che tra le donne (+110mila). Allo stesso modo calano in maniera più massiccia i disoccupati tra gli uomini (-169 mila) che tra le donne (-98 mila).
Un settore in crescita: la gdo
Sempre l’Istat in giornata ha diffuso i dati provvisori sui prezzi ad aprile. L’inflazione è scesa a 0 zavorrata soprattutto dal calo dei beni energetici. Allo stesso tempo però è molto marcato il rialzo mensile del cosiddetto carrello della spesa, cioè beni alimentari, della cura della casa e della persona (+2,6%). Del resto abbiamo tutti in testa le immagini di file chilometriche per fare la spesa o di scaffali di pasta e farina svuotati. Veri e propri assalti ai supermercati. Un gap, quello tra inflazione complessiva e beni del “carrello”, mai stato così ampio da quando sono disponibili i dati dell’Istat per il confronto tra i due indici.
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