L’Europa ha bisogno di una svolta green. Il mondo sta cambiando, l’impegno delle aziende e degli Stati sul piano dell’ambiente sta aumentando e ormai i livelli di inquinamento erano troppo alti perché non intervenisse anche l’Unione Europea. In questo scenario è nato il “Green deal”, con cui l’UE si pone l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Un processo che prevede la graduale abolizione del carbone come fonte di energia. Una sfida non da poco se si considera che in Europa sono attive decine di centrali a carbone che in alcuni casi sono fondamentali per le economie dei paesi che le ospitano. Ma il cambiamento è necessario, per il bene del pianeta ma anche della nostra stessa salute.
L’impatto del carbone sul clima
Il carbone, oltre ad avere costi elevati, è una risorsa fra le più inquinanti ed è uno dei principali ostacoli alla riduzione delle emissioni di gas serra e Co2. Ma, se l’impatto sui cambiamenti climatici si misura nel tempo, le conseguenze sull’essere umano sono più immediate e riguardano patologie come asma, bronchite o problemi respiratori. La consapevolezza dei danni causati dal carbone ha già portato a dei miglioramenti evidenti.
In Europa, a livello generale nel 2019 la quota di energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili ha superato per la prima volta quella generata dal combustibile fossile più nocivo di tutti. I dati arrivano dall’Istituto indipendente Agora Energiewende e mostrano, inoltre, che nei paesi dell’Unione sono state emesse il 12 per cento in meno di emissioni di CO2 rispetto all’anno precedente. E, nel frattempo, la quota di energie rinnovabili nella produzione di elettricità è salita al 35 per cento.
Altri dati indicano che i costi per le fonti di energia più green sono diminuite, soprattutto quelli del fotovoltaico. In altre parole, significa che produrre energia pulita è conveniente non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia. Molti paesi sembrano averlo già capito e procedere spediti verso l’orizzonte futuro senza il carbone. Come fa notare Lifegate, insieme, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito e Italia hanno rappresentato l’80 per cento del calo dell’elettricità prodotta dal carbone.
La situazione ad oggi
Capofila della svolta green, se si considera anche il numero di centrali, è sicuramente la Germania. A inizio mese il Bundestag tedesco ha dato infatti il via libera a un disegno di legge che prevede l’uscita graduale del paese dal carbone entro il 2038 allo scopo di centrare gli obiettivi climatici. Il progetto prevede più di 50 miliardi di euro a favore dei gestori di miniere e impianti, delle regioni coinvolte e dei dipendenti, proprio con lo scopo di arginare l’impatto del passaggio dal carbone alle energie rinnovabili.
L’Austria, invece, ha chiuso la sua ultima centrale a carbone, con sede a Mellach, lo scorso aprile divenendo ufficialmente il secondo paese coal-free dopo il Belgio (pioniere, con la chiusura dell’ultima centrale nel 2016). Anche in Italia l’utilizzo del carbone è ai minimi storici e il nostro paese si è impegnato a chiudere con questo tipo di energia entro 2025. La strada sembra quella giusta: nel 2019 l’Analisi del sistema energetico italiano dell’Enea aveva sottolineato una riduzione riduzione del 3,5 per cento della Cc2 emessa dal settore elettrico per il maggior utilizzo di gas e soprattutto la diminuzione nell’uso del carbone che si è attestata a meno 30 per cento.
Pure la Spagna punta al 2025 come anno X per la dismissione di tutte le centrali a carbone, che però deve fare i conti (letteralmente) con una questione economica: a fine giugno sono state chiuse sette delle 15 centrali termoelettriche alimentate con il combustibile fossile che rappresentano, in termini di potenza elettrica a carbone, oltre la metà del totale spagnolo. Le quattro società a capo delle centrali hanno preso questa decisione proprio perché era risultato troppo oneroso adeguarsi alla nuova direttiva europea sulle emissioni. E sono proprio queste normative a dare impulso ad alcune chiusure, facendo sì che molte aziende preferissero chiudere direttamente gli impianti anziché adeguarli. Questo è accaduto anche in zone, come l’Europa centro-orientale, dove i paesi si oppongono alla transizione, in quanto le economie dipendono fortemente dal carbone per la produzione di energia elettrica.
Il record britannico
Un andamento quindi estremamente positivo per il “Green deal” in Europa, che vanta anche degli esempi virtuosi. Se Belgio e Austria sono già coal-free, anche la Gran Bretagna è sulla buonissima strada: lo scorso 10 giugno, il Regno Unito infatti ha festeggiato due mesi di generazione elettrica libera da carbone, ovvero il periodo più lungo da oltre 140 anni. Proprio il paese che ha introdotto il modello del carbone nel mondo ha l’obiettivo di chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2024, nell’ambito dei suoi sforzi per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050. Impensabile se si nota il fatto che appena 10 anni fa, circa il 40% dell’elettricità del paese proveniva dal carbone.
Un traguardo raggiunto sicuramente anche grazie al lockdown, ma comunque importante e degno di nota. Anche secondo alcuni dati pubblicati a maggio dall’Eea (Agenzia europea dell’ambiente) l’Europa è sulla strada giusta. “Due terzi della riduzione delle emissioni del 2018 si sono verificati nel settore del calore e dell’energia, in cui le emissioni derivanti dalla combustione del carbone sono diminuite di quasi 50 milioni di tonnellate e l’uso di energie rinnovabili nella produzione di elettricità ha continuato a crescere”, si legge nel rapporto.
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