Dopo essere stato additato per anni come la prima causa dell’aumento di episodi di squilibrio dei rapporti con il cibo, oggi internet affronta il problema alla sua radice, informando gli utenti a rischio. Quando si tratta di moderare i contenuti su internet, ci sono alcune domande a cui tutte le compagnie tecnologiche si trovano a dover rispondere.
Già nel 2001, il motore di ricerca più usato al mondo, Yahoo, aveva scelto di rimuovere dai propri server oltre un centinaio di siti Pro-Ana e Pro-Mia, come vengono definite le comunità online che promuovono comportamenti che peggiorano e insieme glorificano i disturbi come l’anoressia e la bulimia. Qualche anno dopo, MySpace aveva assunto una posizione differente, rifiutandosi di rimuovere questi contenuti perché “è spesso difficile distinguere tra gruppi di supporto per gli utenti che soffrono di disturbi alimentari e gruppi che possono essere definiti a favore dell’anoressia o della bulimia. Piuttosto che censurarli, vogliamo lavorare per creare dei partenariati con organizzazioni che si occupano di questi temi”.
A vent’anni di distanza, i due motori di ricerca non hanno più la medesima rilevanza, tuttavia le comunità non hanno fatto altro che migrare altrove: da Tumblr a Pinterest, da Instagram a TikTok. I social network sono diventati luoghi sempre più difficili da navigare per chi ha un rapporto complicato con il proprio corpo.
Un fenomeno in via di peggioramento
Poco discussi dall’informazione, si stima che in Italia i disturbi legati all’alimentazione – che includono anoressia e bulimia nervose, fame emotiva ed altri squilibri di questo tipo – colpiscano il 5% della popolazione. Dopo gli incidenti stradali, l’anoressia è la seconda causa di morte nella fascia d’età tra i 12 e i 18 anni. Qui, come all’estero, la pandemia non ha fatto che peggiorare questa tragica tendenza. Nel primo semestre del 2020, secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, c’è stato un aumento del 30% rispetto all’anno precedente: da 163mila a 230mila nuovi casi.
Come spiega Beat, l’ente di beneficenza britannico che si occupa di disturbi del comportamento alimentare, sarebbe fuorviante tacciare i social di esserne la causa. “La probabilità che un individuo sviluppi un disturbo alimentare dipende dall’interazione tra genetica, struttura cerebrale e chimica, tratti della personalità, ambiente culturale e reazione a eventi della vita come traumi o lutti. Nessuna singola causa è sufficiente per portare direttamente alla malattia, ma ciascuna concorre per aumentare il rischio per l’individuo”. Tuttavia è innegabile il fatto che i media riflettano e amplifichino un ambiente sociale e culturale in cui l’immagine del corpo, il perfezionismo e il controllo dell’alimentazione hanno un valore particolare. “La crescita di una cultura delle celebrità in cui soprattutto le giovani donne sono idolatrate per i loro corpi perfetti o criticate per i loro difetti fisici crea una potente influenza che è malsana per molti e tossica per le persone particolarmente vulnerabili”, continua Beat. “Questi ideali culturali perpetuano la malattia nelle persone a rischio di disturbi alimentari, piuttosto che causarla. Essere circondati da immagini di corpi perfetti quando l’immagine del proprio corpo è distorta da una malattia mentale non fa che rafforzare l’idea che il tuo corpo sia disgustoso, vergognoso e debba essere punito e controllato”. Nel 2010, un’indagine dedicata indicava che essere ripetutamente esposti ad immagini di donne molto magre – come capita a chiunque passi abbastanza tempo su piattaforme come Facebook, Instagram, YouTube, Tik Tok e Snapchat – aumenta la propensione a sviluppare un disturbo alimentare.
Tra cyberbullismo e comunità tossiche
A far scattare meccanismi deleteri negli individui a rischio non è però solo il confronto con l’immagine apparentemente perfetta che danno di sé le persone sui propri social. In questo articolo non entreremo nelle dinamiche familiari che ogni individuo malato di un particolare disturbo alimentare si trova a vivere ed affrontare. Restiamo dunque sulla questione legata al web. Certamente, atleti, celebrità, modelle e influencer che postano in continuazione rappresentano un modello, soprattutto tra i più giovani. Nel 2018 si è cominciato addirittura a parlare di “dismorfia da Snapchat” in relazione ad un aumento di interventi di chirurgia estetica per assomigliare alle versioni di sé dopo l’applicazione di filtri. A questo si aggiungono dinamiche come il cyberbullismo, che provoca depressione, ansia, paura e scarsa autostima. Post che potrebbero sembrare innocui, come la routine di allenamento, diete e aggiornamenti sul proprio percorso alimentare, tendono ad innescare dei comportamenti malsani.
A suscitare particolare apprensione è poi l’accesso troppo semplice a comunità come Pro-Ana e Pro-Mia, secondo cui i comportamenti distruttivi non sarebbero sintomi di una malattia, ma piuttosto uno stile di vita. Queste comunità non fanno che peggiorare le condizioni di chi già soffre spingendo a stabilire regole malsane per raggiungere obiettivi di peso pericolosi, e incoraggiandosi a vicenda. Il fenomeno è talmente conosciuto da aver portato addirittura, nel 2014, a un disegno di legge (poi naufragato) che prevedeva “la reclusione fino ad un anno e con una sanzione pecuniaria da euro 10mila a euro 50mila” per “chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, istiga esplicitamente a pratiche di restrizione alimentare prolungata, idonee a provocare l’anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare, o ne agevola l’esecuzione”.
Dilemmi sulla soluzione da adottare
Di fronte alla pressione di utenti e associazioni, le piattaforme fanno ancora fatica a trovare una soluzione che le metta in buona luce. Una soluzione semplicistica è quella di rimuovere i gruppi in cui si parla di temi sensibili, ma è facile fare un passo falso. C’è poi l’opzione di moderare gli hashtag, bloccando i risultati per determinate ricerche, soluzione che ha però già mostrato i suoi limiti, dal momento che non va a toccare i contenuti problematici che vengono pubblicati senza hashtag, arrivando spesso in ritardo rispetto alla creazione di nuovi.
I timidi passi avanti che le piattaforme stanno facendo, stanno piuttosto nel contrastare i contenuti nocivi con risorse e informazioni utili. Pinterest e Instagram hanno annunciato nuovi sistemi per aiutare gli utenti che cercano o condividono contenuti preoccupanti relativi a disturbi alimentari e immagine corporea. TikTok ha recentemente implementato nuove funzionalità che forniscono supporto. Cercando termini problematici, la compagnia ora affianca non solo il numero di telefono di associazioni – in Italia le onlus Never Give Up e Disturbi alimentari online – ma anche consigli scientifici su come affrontare un disturbo alimentare e supportare amici che lottano contro un’immagine nociva del proprio corpo.
Costanza Falco
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