Secondo un’indagine di Oxford, i videogiochi possono avere un effetto positivo sulla salute mentale degli individui se i soggetti esprimono un desiderio di giocare privo di costrizioni esterne – come il bisogno di fuggire da una situazione stressante – e se si tratta di ambienti che prevedono l’interazione con altri giocatori.
La ricerca si è basata sui dati di gioco forniti dalle compagnie Nintendo America e Electronic Arts, concentrandosi su Animal Crossing New Horizons e Plants vs Zombies: Battle for Neighborville. Ai giocatori presi in esame veniva chiesto di descrivere il proprio stato d’animo nell’arco di due settimane.
L’importanza dello studio
L’indagine misura il rapporto tra il numero di ore trascorse giocando, la salute del giocatore e il suo stato emotivo. Altri ricercatori, tempo fa, hanno indagato circa la relazione tra il gaming e lo sviluppo di tendenze aggressive, tuttavia trent’anni di ricerca non hanno prodotto risultati affidabili o definitivi scientificamente. Le istituzioni hanno già stabilito decisioni importanti sul tema: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito il Gaming Disorder tra le malattie, mentre la Food & Drug Administration americana ha autorizzato l’uso dei videogiochi come terapia per la cura del disturbo di attenzione nei bambini. Lo studio di Oxford è sicuramente innovativo dal momento che ha potuto utilizzare gli strumenti delle case produttrici con cui esse monitorano l’attività di gioco, dando il via a ricerche più affidabili dal punto di vista scientifico grazie ai big data. Capo dell’indagine è il professor Andrew Przybylski direttore del dipartimento di ricerca dell’Internet Institute di Oxford: “Secondo i nostri risultati, giocare ai videogiochi non è a prescindere dannoso per la salute”, scrive. “Ci sono dei fattori psicologici che contribuiscono a rendere il passatempo un aiuto al benessere di una persona”.
Giocata positiva o tossica, come riconoscerla?
Chi gioca perché prova piacere nel farlo ottiene il maggior beneficio. Più si gioca, più si sta bene. Al contrario, i videogiochi non sono affatto d’aiuto se chi vi si dedica è spinto dalle pressioni di un gruppo o da pulsioni che non sono legate alla sfera dell’intrattenimento. Se non c’è una sana interazione tra giocatori, la tentazione di scappare dal qui e orapuò far cadere in fallo una percentuale di gamer, pur sempre bassa, che ha tuttavia problemi a dominare le emozioni e a vedersi integrato all’interno della società.
Il futuro del progetto
Con il settore dei videogiochi destinato a superare nei guadagni quello dei film, la ricerca di Przybylski offre una base per studiare i rischi di una regolazione dell’uso dei videogiochi.
Lo studio però ha diversi limiti: in Animal Crossing, ad esempio, si simula la vita in un villaggio idilliaco in cui le incombenze principali sono quali fiori piantare e quante conchiglie raccogliere. “Non possiamo dire con i nostri dati”, si legge nelle conclusioni, “quanto giocare influenzi in un rapporto di causa-conseguenza il benessere di una persona”. L’indagine dimostra però che è possibile collaborare con le compagnie più importanti del settore per trovare le risposte: sia Nintendo sia EA hanno mandato i questionari e le richieste di partecipazione a decine di migliaia di utenti, permettendo di trovare i candidati ideali.
Costanza Falco
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