Dopo mesi a parlare di coronavirus, iniziano finalmente ad arrivare i primi test scientifici su un nemico ancora sconosciuto. Mesi di giorni passati davanti a un pc per cercare di scoprire una qualche notizia che potesse prevenire o limitare il contagio o quantomeno dare risultati differenti di quelli avuti nell’ultimo periodo.
Coronavirus e gruppo sanguigno
Dalla rivista scientifica New England Journal of Medicine (NEJM) si apprende uno studio scientifico sul presunto rapporto tra l’appartenenza ai vari gruppi sanguigni e il rischio di sviluppare sintomi gravi di COVID-19. In pratica a seconda del proprio gruppo sanguigno si rischia di avere maggiore o minore rischio di andare incontro a complicazioni gravi sviluppate dal coronavirus.
Uno studio di assoluto prestigio che ha visto in campo centri di ricerca di tutto il mondo. Dalla Germania, all’Italia, dalla Norvegia fino alla Spagna, concentrandosi soprattutto sui dati provenienti dagli ospedali italiani e spagnoli, i più interessati dall’epidemia.
La ricerca è stata condotta su 1600 pazienti e il risultato emerso parla di un minor tasso di casi gravi tra i pazienti con gruppo sanguigno 0. Al contrario i pazienti con gruppo sanguigno A hanno evidenziato i sintomi più gravi, con un maggior rischio di danni al loro apparato respiratorio. Lo studio europeo ha anche analizzato il materiale genetico (genoma) dei pazienti, rilevando che il gruppo sanguigno può essere utilizzato per prevedere con un buon grado di approssimazione la gravità dei sintomi comportati dalla COVID-19. I ricercatori hanno anche identificato una porzione del DNA nel cromosoma 3, coinvolta nelle modalità in cui si sviluppa la malattia.
La parola dell’esperto
Luca Valenti del Centro Trasfusionale del Policlinico di Milano, il medico che ha coordinato la parte italiana dello studio, ha spiegato così. “Per ora abbiamo due marcatori genetici che indicano un aumento del rischio di gravità della patologia. Uno è il gruppo sanguigno, che conosciamo meglio, e l’altro è una regione del cromosoma 3 che comprende alcuni co-recettori del virus e fattori infiammatori. Ma è ancora in corso di definizione”.
Dunque sarà possibile prevedere, anche in futuro, chi potrà essere più a rischio di altre persone. Per esempio decidendo di somministrare il vaccino ai più suscettibili, non appena (e se) questo sarà pronto.
Lo studio pubblicato su NEJM però non spiega quindi quali siano i meccanismi per cui l’appartenenza a un determinato gruppo sanguigno possa portare a sintomi più gravi, rispetto a un altro. Scoprendone le cause con ulteriori ricerche, si potrebbero ottenere dati preziosi per nuovi protocolli di prevenzione e per i trattamenti contro la COVID-19.
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