L’Unione Europea è pronta ad una deglobalizzazione su scala continentale? Poco più di due anni fa, secondo i dati dell’Onu, la Bulgaria era in balia di un tracollo demografico: la sua popolazione sarebbe dovuta calare da 7,2 milioni a 5,2 milioni entro trent’anni, rendendola il paese più rapido al mondo per riduzione. In questa classifica poco invidiabile, alle successive nove postazioni trovavamo altri stati dell’Europa orientale. Ogni anno, la città di Vratsa si riduceva di duemila abitanti.
Uno dei fenomeni su cui gli esperti si stanno concentrando oggi è in che misura, dall’inizio della pandemia, gli immigrati europei stanno rientrando in massa nei loro paesi d’origine. Ne ha parlato inoltre, tra gli altri, The Economist e ha evidenziato numeri impressionanti: si tratterebbe di oltre 500mila bulgari che, nell’ultimo anno, hanno fatto i bagagli per tornare in patria; i rumeni sarebbero invece oltre un milione. Per paesi che hanno, rispettivamente, circa 19 e 7 milioni di abitanti non sono proprio cifre insignificanti. Se anche solo una frazione di questi rientri dovesse essere permanente, gli effetti – per quanto riguarda le pressioni sociali, politiche e occupazionali – si faranno sentire pesantemente.
Deglobalizzazione in atto su scala continentale
La crisi della pandemia ha chiuso un decennio di crescita di flussi migratori. Il calo annuale dei flussi verso i paesi ricchi varia dal 30% fino al 70/80% in quelli che hanno quasi completamente blindato le frontiere, come l’Australia e la Nuova Zelanda. Tuttavia oltre a coloro che non si spostano, ci sono, appunto, quelli che tornano: un flusso umano che modificherà in modo drastico i livelli di consumo: spazi da abitare, servizi e salari da guadagnare. Questo sta succedendo anche in Italia. I nostri conterranei scappati dall’estero durante la crisi sanitaria stanno già avendo un peso negli equilibri della nazione: salvando, ad esempio, diversi rentier dal tracollo, grazie al pagamento di affitti insperati, oppure occupando case di famiglia rimaste inutilizzate per diversi anni, e che avrebbero potuto essere messe a disposizione di altri.
La libera circolazione è uno dei più grandi traguardi dell’Unione Europea e, probabilmente, rimarrà molto usata anche dopo l’epidemia, tuttavia, ad oggi, l’argomento dei confini ha perso salienza perché il sistema di Schengen, di fatto, è stato sospeso dagli stati per proteggere i propri abitanti dal contagio. Si prevede che, al primo segnale, i viaggiatori economici e del tempo libero prenderanno di nuovo d’assalto gli aeroporti, le autostrade e le ferrovie. L’emigrazione all’interno del continente europeo ha causato squilibri, soprattutto se a trasferirsi sono gli studenti brillanti e i lavoratori specializzati. Il rinomato economista italiano Marcello De Cecco anticipava già vent’anni fa che le università pubbliche italiane avrebbero avuto pochi incentivi a investire nella formazione dei manager del futuro, dal momento che questi sarebbero poi andati a lavorare nelle multinazionali francesi o tedesche, data la prevalenza in Italia di piccole e medie imprese con stipendi più bassi.
Trasformazione economica, culturale e politica
Con il rientro degli emigrati, i paesi che per lungo tempo hanno fatto affidamento sulle rimesse dall’estero potrebbero non solo subire delle trasformazioni economiche importanti, ma anche vedere trasformazioni culturali, con il ravvivarsi della partecipazione politica. In egual misura, i paesi abituati ad avere una maggiore densità di immigrazione, che hanno puntato su un afflusso costante di nuovi arrivati, dando impulso al settore dell’istruzione e compensando il peso fiscale di una popolazione che invecchia, potrebbero subire uno shock inverso.
Una ricerca dedicata ha evidenziato che un milione e 300mila persone hanno lasciato il Regno Unito tra il terzo trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2020 a causa delle conseguenze economiche del coronavirus e dei timori per la Brexit. Nel corso del 2020, Londra ha perso 700mila abitanti per colpa della pandemia. Quanto accaduto potrebbe da una parte veder placati i segmenti più sciovinisti dell’elettorato britannico, che chiedevano di rallentare gli arrivi; dall’altra, potrebbe tradursi nel venir meno di una generazione di cittadini che votano per politiche interventiste in economia e liberali nella cultura, con tutto quello che ne conseguirà. Molti paesi stanno adottando il modello australiano, rafforzando i controlli alle frontiere. La migrazione nel 2021 sarà molto lontana dalla normalità, probabilmente riprenderà una volta che le frontiere saranno riaperte. Per il momento, si sta verificando anche l’aumento dei colletti grigi, che, secondo l’Economist, sono dei lavoratori del terziario che vivono e lavorano in un posto mentre tecnicamente sono impiegati e pagano le tasse in un altro. Le agenzie delle tasse avranno sempre maggiore interesse a localizzarli e a porli davanti ad una scelta logistica nonché esistenziale.
Costanza Falco
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