Perché in Italia è sempre tutto così difficile? Questo è un l’amletico interrogativo che ci si pone spesso. E diventa ancora più assordante quando si ha a che fare con le infrastrutture di grandi dimensioni. Abbiamo sofferto il 14 agosto 2018 quando il Ponte Morandi è caduto portando con sé le 43 vittime e ci siamo chiesti perché un’arteria di primaria importanza, in un capoluogo di regione, non fosse stata oggetto di controlli adeguati che evidenziassero la corrosione del tirante della pila 9.
Sicuramente non era la prima volta che il campanello suonava. E, di certo, nessuno avrebbe scommesso sul fatto che i ponti fossero manutentivamente in linea con tutti i crismi. Però alla notizia che 992 viadotti fossero senza un proprietario, no, non eravamo pronti.
A gennaio 2019 ben 992 tra ponti e viadotti costruiti in 29000 km di strade gestite da Anas non avevano un proprietario certo sulla carta che svolgesse una regolare manutenzione. Un anno dopo sono scesi a 763 perché la differenza era stata controllata con un’ispezione cantoniera, ossia a vista. Inutile dire che un intervento di questo genere potrebbe non essere troppo attendibile e, sicuramente, non sprizza sicurezza da nessun poro. Invece, negli oltre 14500 ponti e viadotti di proprietà Anas, le ispezioni, nel 2019, si sono fermate ad un terzo del totale. Di queste, 4991 erano da tenere d’occhio dando la precedenza a quelle che riguardavano viadotti con la campata superiore ai 30 mt. Il dato più aggiornato è del 2020 dove si sono analizzati, invece, giusto il 28% delle opere.
È anche vero che il tasso “di controllo” cambia da regione a regione. In Piemonte e Friuli-Venezia Giulia sono stati verificati il 100% delle strutture, sulla Salerno-Reggio Calabria 7 su 574. Nella Liguria post-Morandi, invece, per un eccesso di senso del dovere sprigionato, purtroppo, dalla tragedia, ne sono stati ispezionati 201 su 18 segnalati. Il Ministero delle Infrastrutture ha destinato ben 30 miliardi di euro per la manutenzione delle infrastrutture. E ne ha aggiunti altri 2.7 per quella straordinaria. Il problema è che ne sono stati spesi solo 200 milioni. È vero che, per aver accesso a quei fondi, basta fare richiesta ma c’è il gioco del rimpallo del chi spetta che scarica talvolta ad Anas, talvolta alle Province, talvolta al Ministero stesso.
Ma, realmente, di fronte a questo quadro che di rassicurante non ha nulla, a cosa ci troviamo davvero davanti? A tanti ponti magari che scollinano in zone aspre dell’Appennino e che, tangibilmente, perdono pezzi. Per davvero. Denunce mediatiche a parte che, all’italiana, accelerano l’intervento, la manutenzione programmata resta fondamentale: l’importante è ispezionare non a vista bensì con l’ausilio di macchine specializzate che ne valutino bene le caratteristiche perché la maggior parte dei nostri ponti appartiene alla Generazione X ossia ha più di 40 anni. Tra l’altro, questo tipo di azioni non si svolgono in un paio di giorni ma sono oggetto di appalto ed assegnate a ditte che devono fare degli allestimenti importanti per compiere le operazioni: vanno montati ponteggi in situazioni difficili, va assoldato personale specializzato che, spesso, deve lavorare in altezza e con ogni condizione metereologica. La macchina che si deve innescare è quasi davinciana: studi di fattibilità del territorio, relazioni di calcolo ma, soprattutto, tanta voglia di arrivare alla fine.
Perchè la tranquillità è quello che, in fondo, ci meritiamo. Abbiamo i mezzi ed abbiamo le forze, dobbiamo mettere da parte quella vena di egoismo che ci rende poco credibili davanti alla collettività ed impegnarci a far diventare l’ambiente in cui viviamo più salvaguardato: lo facciamo per i nostri figli che correranno in lungo e largo per la penisola ed avranno bisogno di un territorio sicuro. Allora, allacciamo questa cintura di sicurezza virtuale e rendiamo il terreno fertile per un futuro prossimo rendendoci conto che, cosi facendo, non stiamo andando incontro ad un sacrificio ma semplicemente al nostro dovere.
Silvia Dassie
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