Il dpcm per ora le ha risparmiate, almeno per i più piccoli. Il tema però resta caldo e ci si chiede se sia giusto o meno chiuderle. Su quest’ultimo punto dell’ultimo decreto si combatte da tempo una battaglia serrata su barricate opposte a dispetto di colori politici: c’è chi vorrebbe chiuderle senza troppi complimenti e chi, invece, ritiene essenziale che rimangano aperte fin quando possibile. Gli ultimi dati sembrano rassicuranti, tuttavia la gestione delle scuole rimane per ora una scelta politica, che deve scegliere come bilanciare i rischi della pandemia e quelli legati alla dispersione scolastica, al ritardo educativo, e ai rischi psicologici a cui vanno incontro bambini e adolescenti con il protrarsi di questa situazione.
I dati ci sono?
Il modo migliore per valutare il ruolo delle scuole nella diffusione dei contagi sarebbe verificare quanti focolai hanno ospitato dalla riapertura. È una premessa legittima, tuttavia questi dati non ci sono. O meglio: il ministero dice di possederli, ma per ora ha deciso di non pubblicarli. Una delle poche indagini sulle scuole italiane è stata attuata dall’immunologa Antonella Viola e dal biologo Enrico Bucci. I due hanno usato i dati disponibili sui giornali nazionali per fare una stima del numero di infezioni avvenute nelle scuole di Bergamo, Milano e del Lazio. Stando ai risultati della ricerca, l’incidenza di infezioni sembrerebbe sovrapponibile a quella della comunità.Le scuole, dunque, non sarebbero un luogo che contribuisce a moltiplicare i contagi, ma rifletterebbero semplicemente la situazione della società che le circonda. Un istituto scolastico è quindi uno dei tanti luoghi dove ci si può contagiare, al pari di bar, ristoranti e posti di lavoro. La conclusione dei due scienziati è, dunque, che non ci sono motivi per suggerire la totale chiusura delle scuole.
Lo studio che preoccupa
Sulla barricata opposta troviamo un’indagine pubblicata su Lancet InfectiousDiseases. Tra i principali interventi presi in considerazione, la chiusura delle scuole risultava il secondo più efficace, con una riduzione media dell’Rtpari al 15%, e un aumento pari al 24% in corrispondenza delle riaperture.Come è stato evidenziatoperò dagli stessi autori dello studio, tale ricerca presenta limiti quando si prova ad interpretare i risultati. Uno fra tutti, la difficoltà che esiste nel districare gli effetti di più provvedimenti, come il blocco della mobilità, la chiusura degli uffici pubblici e privati, introdotti contemporaneamente e in aree del mondo differenti tra loro come l’Africa, l’Europa, l’Asia o gli Stati Uniti.
Se di studi epidemiologici per ora non possono che essercene pochi, un modo ulteriore per valutare i rischi legati alle scuole è senz’altro quello di indagare la suscettibilità dell’infezione nei bambini e nei ragazzi. Sappiamo che i più giovani hanno minori rischi di sviluppare una malattia sintomatica, e una probabilità praticamente nulla di soffrire di sintomatologie gravi.Questo vuol dire che sono anche più resistenti all’infezione? Non c’è una risposta certa a questa domanda, vi sono solamente una serie di indizi che sembrano indicare che le cose stiano proprio così.
Il modello dell’Imperial College
Tre fisici dell’università di Edimburgo hanno deciso di replicare i risultati del modello epidemiologico utilizzato dall’Imperial College a marzo per prevedere i possibili esiti dell’epidemia in termini di decessi e carichi sanitari. Non possedendo il modello originale, i ricercatori hanno utilizzato Covidsim, un modello epidemiologico pubblicamente accessibile. Il nuovo tentativo di replicare lo scenario ha confermato nuovamente uno dei risultati meno intuitivi del modello originale. La chiusura delle scuole sarebbe efficace nel ridurre il picco di pazienti in terapia intensiva, ma con un piccolo effetto collaterale: aumentare il numero di morti sul lungo periodo. Rallentando la diffusione del virus tra i più giovani si prolunga la durata dell’epidemia e il risultato è quello di un’epidemia più lunga, e di un numero maggiore di vittime. Si tratta di scenari ipotetici, già affrontati dagli epidemiologi dell’Imperial College, che infatti hanno sempre proposto lockdown intermittenti, in attesa di terapie in grado di modificare drasticamente la circolazione del virus.
La lezione che si può trarre da queste ricerche è forse che tenere aperte le scuole fin quando possibile non ha solo effetti benefici sui bambini e i ragazzi, ma potrebbe persino avere effetti positivi sull’evoluzione dell’epidemia, ampliando la platea di cittadini non più suscettibili all’infezione, e velocizzando così la risoluzione della crisi quando arriveranno finalmente vaccini in grado di arrestare la corsa del Covid-19.
Costanza Falco
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