Ci si muove per eliminare il gender gap, è vero, ma a che passo? Disclaimer i-D lo ha chiesto alle giovani donne dell’industria creativa italiana, credendo nel valore della voce e dello spazio riservato a persone appartenenti a qualunque genere, orientamento ed etnia.
Di recente, hanno fatto breccia nel lessico comune termini come She-cession o espressioni quali “crisi di genere”; una terminologia che basa le sue radici in statistiche che hanno dimostrato come la demografica di genere abbia patito ripercussioni molto rigide durante la pandemia rispetto a persone di genere maschile. Il gender gap resta una questione globale urgente, che non ha fatto altro che amplificarsi durante l’anno. In media, nel continente europeo, le donne guadagnano il 16% in meno rispetto agli uomini, e in Italia questo divario raggiunge anche il 45% per le libere professioniste, mettendo la nostra nazione al 14° posto nel ranking del Gender Equality Index.
La situazione dell’industria creativa italiana
La natura della disparità di genere si riflette anche all’interno dell’industria creativa del nostro Paese, dove da tempo si riscontrano fenomeni di ineguaglianza su più fronti. In generale, la percentuale di presenza femminile all’interno dell’industria varia a seconda dell’ambito, tuttavia in tutti i campi le donne hanno grandi difficoltà a raggiungere le occupazioni ai vertici e a ricevere un salario uguale alle loro controparti maschili.
Uno degli studi più recenti che ha analizzato il gender gap nei settori del cinema e dell’audiovisivo – Le Collectif 50/50 – evidenzia in modo chiaro che in Italia, ad esempio, la percentuale di registe donne è solo il 12% rispetto all’86% di uomini. Un altro problema è il gap salariale, dove “nel caso di lavori a progetto, è sempre più difficile stabilire quale sia il salario che ti spetti, e questo vale per tutti i campi dell’industria creativa,” ha spiegato la documentarista italiana Perla Sardella. “Questo perché esiste un problema di trasparenza, e ogni budget pone dei limiti e delle imposizioni”. Paradossalmente, il gap risulta ancora più marcato in ambienti quasi esclusivamente dominati da donne, come la moda, che conta il 70% della sua forza lavoro, e l’80% degli studenti delle più importanti scuole di moda. “La maggior parte della forza lavoro all’interno della produzione di moda sono donne, ma solo poche riescono a scalare la gerarchia professionale. Questa situazione è evidente anche nei numeri delle iscrizioni alle scuole di moda, in percentuale molto più frequentate da donne, ma fondamentalmente chi riesce ad ottenere un ruolo decisionale e creativo è spesso un uomo,” ha affermato la fashion graphic designer Lorenza Liguori. È un pensiero condiviso anche dalla designer Martina Rizzieri, che, parlando della rappresentazione delle donne ai vertici della moda, sostiene che “gli esempi di donne che abbiamo nella moda sono pochi, e spesso sono parte di alcune generazioni più grandi della nostra. È difficile immaginarsi di diventare una designer di quel calibro se il loro percorso personale ha avuto luogo a decenni di distanza dal nostro. Questo anche perché le poche donne che oggi sono a capo delle maison hanno impiegato molto più tempo a raggiungere quelle posizioni, mentre vediamo parecchi designer giovani uomini a capo non solo di una, ma di più maison al tempo stesso. Non solo abbiamo bisogno di esempi, ma anche di riferimenti più giovani in cui possiamo immedesimarci realmente, dal momento che sono cambiate le modalità attraverso cui si articolano immaginari e professioni”.
Il problema degli stereotipi professionali
Che sia proprio questo il motivo della disparità è difficile da affermare con certezza, ciò che è certo, però, è che esiste una segregazione occupazionale basata su stereotipi, pregiudizi e norme sociali. Alcune professioni all’interno di ambiti creativi sono fortemente influenzate da narrazioni di genere. “Nel cinema esistono ancora molti ruoli tendenzialmente considerati femminili o maschili. Per esempio, il montaggio e la sceneggiatura sono storicamente legati alla sfera femminile, posizioni che non prevedono l’assumere il controllo totale della situazione per le donne diventa difficile anche solo immaginarsi occupare altri ruoli” ha affermato Perla Sardella, un pensiero che trova riscontro nelle statistiche di 50/50, che evidenziano, per esempio, che le registe donne sono solamente il 24% della totalità dei registi, e le direttrici della fotografia solamente il 28%.
Costanza Falco
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