È una domanda ricorrente dell’ultimo periodo, specie quando si parla degli effetti della pandemia. I grandi rivenditori stanno chiudendo i battenti mentre sono in aumento gli acquisti online. Non solo il mercato ha retto durante la pandemia, ma sta attirando anche i marchi di lusso: è il momento di capitalizzare le richieste tra i rivenditori del vintage.
Oggi comprare abiti usati non è solo un gesto sdoganato, ma anche alla moda
In Italia, fino a dieci anni fa, gli abiti di seconda mano erano comprati dalle persone che non avevano possibilità economiche, oppure rivenduti in boutique di nicchia: “prima c’era lo stigma di comprare e di vendere usato; nelle grandi città c’erano dei negozi ma era una cosa da artisti e bohémien oppure per chi cercava soluzioni a basso prezzo per necessità, come i banchi che si trovano ancora in qualche mercato”, spiega Giorgia Dell’Orto, una dei tre proprietari di Ambroeus, negozio vintage a Milano. “Adesso le cose sono cambiate, tanti nella fascia 20-40 anni si stanno rivolgendo al mondo dell’usato e del vintage: anni fa le persone sui 40 erano sul chi va là e quando entravano in negozio dicevano oddio sono cose usate, ma adesso no. Poi quest’anno con il lockdown c’è stato un cambiamento ancora diverso: molti stando a casa si sono resi conto delle cose che non usano e hanno deciso di liberarsene”. Una delle ragioni del successo della moda vintage è sicuramente economica, anche se in modo diverso rispetto a qualche anno fa: non si cercano più abiti a buon mercato, ma di ottima qualità o di marchi di lusso che, nuovi, sarebbero troppo costosi. Questo meccanismo è stato sicuramente accelerato dall’arrivo dei social network, in particolare di Instagram. Hilary Bella Walker, proprietaria di tre negozi di Bivio, dice che “Instagram promuove l’idea dello stile personale e individuale, invita a osare e a mischiare le cose. Non c’è più solo la rivista di moda che ti presenta le ultime collezioni, vedi un sacco di persone che si vestono in modi diversi: questo stile personale lo ottieni prendendo pezzi che nessun altro ha, e questo lo fai in un negozio di seconda mano”. Un ruolo chiave lo ha anche l’attenzione crescente verso le problematiche ambientali: produrre continuamente nuovi capi a buon mercato che spesso avanzano e devono essere distrutti inquina e comporta un ingente spreco di risorse, invece riutilizzare un capo che è già sul mercato è la soluzione più etica e sostenibile.
Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno influenzato la nascita del mercato italiano
“A San Francisco il second-hand esiste dagli anni Settanta”, racconta la Walker, “non c’erano negozi di second-hand interessanti: c’erano posti come i mercatini e altri fané, gestiti da sciure e non molto giovani. Se volevo vendere delle cose belle che non mettevo più, dovevo farlo a San Francisco”. Bivio rivende capi comprati solo da privati: una volta scelto il prezzo di vendita, si può decidere se venire pagati subito con il 33% in contanti o il 50% con un buono da spendere in negozio valido per un anno, cosa che spinge le persone a vendere e ricomprare: “non c’è niente di più personale di Bivio perché ci trovi le cose della gente di Milano, per cui riflettono molto la città”.
Oltre che nei negozi fisici, i clienti italiani sono abituati a comprare usato anche online. Il negozio più famoso è Depop: fondato nel 2011, è un social network simile a Instagram, che consente di aprire un negozio virtuale dove caricare le immagini dei vestiti. Dentro c’è di tutto: da magliette semplici a 10 euro fino a borse da 150, anche se la fascia di prezzo generalmente non è molto alta. Chi vende si prende il carico di tutto, dalla scelta del prezzo alla spedizione dell’articolo perché Depop è solamente una piattaforma su cui appoggiarsi. Come spiega la Walker “quello del second-hand è un mercato anticiclico: se l’economia va bene, va bene, se l’economia va male, va bene lo stesso. Se un’azienda conta su un fornitore in Cina, ora è in crisi nera ma io conto sulla gente che compra troppo e che avrà sempre qualcosa che non mette più e che vorrà rivendere. Finché la gente ingrassa o dimagrisce, riceve regali non graditi, finché ci sono quelli che lavorano per gli stilisti e ricevono i capi scontati, io avrò sempre merce in inventario”. Secondo gli esperti il mercato dell’usato avrà un incremento sempre più grande. Viste le prospettive, sempre più aziende e marchi di lusso stanno cercando di entrare nel settore, considerato anche che fino ad oggi non hanno guadagnato dalla vendita nei negozietti e nei grandi rivenditori. Finora i marchi di lusso si erano tenuti alla larga dal second-hand per timore di distogliere l’attenzione dai capi nuovi, ma ora stanno capendo che “il mercato di seconda mano non è dannoso per quello dei capi nuovi”.
Costanza Falco
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