Quella di quest’anno sarà un’edizione phygital: fisica più digitale, con 23 sfilate dal vivo e 41 fashion show online. Dal 22 al 28 settembre verranno presentate le collezioni Donna primavera/estate 2021 e le collezioni maschili, solitamente destinate alle settimane di gennaio e giugno. A questo si aggiungeranno 61 presentazioni e 22 eventi.
Le grandi firme
Tra le grandi firme, dal vivo sfileranno Dolce & Gabbana, Ferretti, Etro, Fendi, Max Mara, Salvatore Ferragamo e Versace. Armani il 26 settembre sfilerà a porte chiuse portando in passerella la collezione maschile e femminile insieme, verrà trasmesso in diretta su La7. “Una scelta istintiva, nata dal bisogno di dialogare con il pubblico” – ha dichiarato Armani – “La moda in TV ha avuto il suo momento di alta spettacolarizzazione negli anni Ottanta, quando noi stilisti vi comparivamo spesso, dispensando consigli di ogni genere, ma non è mei stata utilizzata per raccontare una collezione nuova, che nemmeno gli addetti ai lavori hanno ancora visto”.
Alcune grandi case hanno reagito in maniera differente, scegliendo di non sfilare in un’ottica di ripensamento della propria mission. Angela Missoni ha annunciato che la collezione donna primavera/estate sarà venduta in showroom e mostrata solo a stampa e buyer. Con una scelta ancora più radicale, Gucci ha annunciato la scelta di modificare il calendario delle sfilate per sperimentare un paradigma inedito e più in linea con le esigenze del settore. Il direttore creativo Alessandro Michele ha annunciato su Instagram: “Abbandonerò il trito rituale delle stagionalità e degli show per riconquistare una nuova scansione del tempo, vicina al mio bisogno espressivo. Ci incontreremo solo due volte all’anno, per condividere i capitoli di una nuova storia. Capitoli irregolari, gioiosi e assolutamente liberi, che saranno scritti mescolando regole e generi, nutrendosi di nuovi spazi, codici linguistici e piattaforme di comunicazione”.
Una crisi infinita
Le sue parole mostrano meglio di altre la profonda crisi che sta attraversando il settore dell’alta moda: una crisi identitaria a cui l’emergenza del Covid-19 ha restituito la sua urgenza ideologica, riportando a galla quei temi e problemi che la moda si portava dietro da anni, se non da decenni. Armani ha anch’egli ribadito che l’emergenza sanitaria in cui ci troviamo è la dimostrazione del fatto che l’univa via percorribile è un attento e ragionato rallentamento. Il declino del sistema è iniziato quando il settore moda/lusso ha adottato le modalità del fast-fashion. “Io non voglio più lavorare così, è immorale” ha dichiarato in una lettera aperta inviata alla rivista di moda WWD. Secondo Armani, il mercato della moda ha finito per piegarsi ai tempi rapidi delle catene che vendono capi a basso prezzo e hanno continuamente bisogno di rinnovare il guardaroba. I problemi però non sono solamente economici, molte di queste aziende delocalizzano la produzione dove il costo della manodopera è bassissimo, le condizioni dei lavoratori sono pessime, spesso vittime, infatti, di sfruttamento, violenza e furto salariale.
Un altro aspetto significativo riguarda l’impatto ambientale. Quasi 3/5 di tutti gli indumenti finiscono negli inceneritori o nelle discariche entro un anno dalla produzione. Oltre l’8% delle emissioni globali di gas serra sono prodotte dalle industrie dell’abbigliamento e delle calzature. Circa il 20-25% dei composti chimici prodotti a livello mondiale viene utilizzato nell’industria di finissaggio tessile. Tali dati bastano a classificare la moda come “una delle industrie a più alta intensità di risorse al mondo, sia in termini di risorse naturali che di risorse umane”. È in questo quadro che la moda si prepara a fare il suo ingresso nella Fashion Week milanese, con molti interrogativi sospesi sul futuro.
Costanza Falco
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