È la prima vera, profonda crisi della presidenza Agnelli. Non solo perché La Juventus è incappata nella terza eliminazione di fila in Europa contro squadre dal fatturato e dalle rose nettamente inferiori o perché per la priva volta che in campo sembrava esserci una squadra più solida non ha portato a casa i tre punti contro il Benevento, ma per tutta una serie di motivi che non direttamente hanno a che fare con i risultati. Il ciclo dell’ossatura del gruppo è evidentemente giunto al termine e, inoltre, la società due estati fa si è fermata ad un bivio esistenziale: provare a rinnovare il proprio DNA, proseguendo sulla via di allenatori dal gioco offensivo o tornare indietro. Si tratta di una questione di identità che ha sempre permesso alla Vecchia Signora di arrivare ai successi a cui è giunta.
Sacrificare i due grandi mantra juventini – “vincere è l’unica cosa che conta” e “la Juve è condannata alla vittoria ogni anno” – in favore di una nuova visione rischiosa e molto lenta a portare risultati, non convince proprio tutti. Ci sono già quelli che chiedono la testa di Paratici, di Nedved, di chiunque abbia voluto fare il passo più lungo della gamba. Cosa fare dunque? Confermare o no Andrea Pirlo? Per una questione di progetti, per una svolta filosofica, direi di sì. Confermare Pirlo significherebbe acquisire credibilità nel voler proseguire un percorso. Vero è che Pirlo è un tecnico senza esperienza, che la dirigenza si è praticamente inventato e per cui ha speso parole poco fraintendibili: “predestinato”, “le sue idee ci hanno convinto”, “scelta naturale”. Non esistono scusanti di incompatibilità con l’ambiente, dal momento che è stato scelto anche perché “sa cos’è la Juve”. La Juventus non deve confermare Pirlo solo per coerenza o per imitare gli esempi virtuosi che il calcio europeo presenta, ma principalmente per proseguire in quel cambio di rotta avviato, per cambiare finalmente la propria impostazione filosofica. Per certi versi, “Vincere è l’unica cosa che conta” si è dimostrato empiricamente falso. Mettiamola così, se per imparare a vincere di più, fosse utile imparare anche a perdere di più? Nella storia della Vecchia Signora non è mai esistito momento più propizio per rischiare. Pirlo ha il fascino della cabala, ma ciò che serve agli juventini è un’immersione nella realtà. Non è possibile veder vincere così tanto e lamentarsi al primo periodo di reflusso. Il progetto è ai suoi inizi, le idee su come dovrebbe proseguire sono chiare e non verrà interrotto al termine della stagione. In altre parole: gli juventini si preparino, sarà lunga.
La Juventus può permettersi di aspettare Pirlo?
“È un buon allenatore?”, già solo la presenza della domanda è un problema.
Guardiamo all’ultima partita col Benevento: per la prima volta da molto tempo, Pirlo ha avuto una settimana di tempo per preparare la gara. Il risultato però è stato che la Juve è ricaduta nel medesimo problema, dimostrando di non avere le idee chiare su come vorrebbe attaccare o difendere. Insomma, se hai un allenatore con un’idea chiara, puoi vincere o perdere, ma resti fedele ad una precisa direzione di manovra. Però Pirlo non sembra averla, magari alla fine della stagione i conti quadreranno su più fronti, però nelle partite in cui era richiesto uno sforzo, quali quello di attaccare una difesa schierata, di risolvere una situazione tattica svantaggiosa, l’unica soluzione è sempre sembrata quella un po’ casuale di mandare palla avanti e stare a guardare.
Se è un dato di fatto che la Juve debba passare da un ciclo all’altro, non è detto che questa transizione debba passare da un allenatore rivoluzionario ad oggi solo in teoria. A cambiare deve essere la filosofia della Juventus e, per dimostrare una mentalità diversa, serve un allenatore con la capacità di influenzare anche delle scelte societarie che dovranno arrivare in un prossimo futuro. In conclusione, la scelta di Pirlo è stata in realtà una non-scelta, perché, dopo aver fatto marcia indietro su Sarri, la dirigenza ha preferito lasciare in stand-by il futuro della squadra optando per un allenatore con un profilo importante. Obiettivamente nel calcio non esiste un algoritmo che possa rendere più semplice il lavoro di chi decide, e altrettanto bisogna ammettere che gli errori recenti sono stati commessi dalle stesse persone che ad un certo punto si erano mostrati in grado solo di fare scelte giuste, quelle che hanno portato alla vittoria di nove scudetti.
Costanza Falco
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