Purtroppo sembra che la fine di questa pandemia sia ancora lontana, anche se quantomeno il rischio di un nuovo lockdown per ora è scongiurato. Di certo chi già sognava di tornare a viaggiare e stava pensando alle vacanze natalizie dovrà rivedere i suoi piani per cause di forza maggiore: la risalita dei contagi preoccupa e delle misure di contenimento andavano prese. Il rischio ora per chi abita in città è di perdersi quella fuga nella natura che molti avevano assaporato quest’estate, allontanandoci di nuovo dalla vita all’aria aperta, da quei boschi e quelle foreste che ricoprono quasi il 40% della superficie italiana e sono parte della nostra cultura. In loro soccorso però ecco Sounds of the Forest.
Di cosa si tratta
Spazi verdi, tranquilli, isolati e remoti sono dunque tornati da mesi in cima alle nostre priorità per il tempo libero e per il cosiddetto turismo di prossimità, anche se fra desiderio e possibilità c’è una serie di passaggi non sempre pacifici, dall’allenamento all’attrezzatura fino all’organizzazione per vivere al meglio anche solo una giornata “outdoor”. Ma anche poterne semplicemente apprezzare i suoni, di quei boschi, sapendo che sono quelli originali raccolti da visitatori ed escursionisti come noi, abitanti di quei luoghi, può darci una mano a superare la fame di verde. È ciò a cui un’organizzazione britannica, Wild Rumpus, ha pensato in collaborazione con la National Forest del Regno Unito: mettere in piedi una sorta di database di registrazioni di suoni naturali per restringere quella distanza fra le nostre vite in semi-isolamento e la natura. Si chiama Sounds of the Forest ed è un’affascinante mappa interattiva alla quale chiunque può contribuire, caricando la propria registrazione della “colonna sonora” di aree verdi e foreste vicine al posto in cui abita. A un primo sguardo, ce ne sono già moltissime: oltre 600 frammenti audio da una sessantina di paesi su sei continenti. Un paio anche in Italia: in una foresta vicino Gubbio e a Villa Salviati a Firenze.
Com’è nato
Il progetto è nato per un festival musicale in programma lo scorso luglio, e annullato, il Timber Festival. Ma ha poi preso il largo, diventando una piattaforma autonoma e globale: “Quando abbiamo realizzato che quest’anno non saremmo stati in grado di incontrarci di persona a causa della pandemia abbiamo messo in piedi un progetto sensoriale che fosse democratico e aperto a più persone possibili, qualcosa che potesse creare connessioni emotive viscerali fra le persone e la natura” ha spiegato Sarah Bird, condirettrice di Wild Rumpus, a Lonely Planet. Secondo Bird oltre 30mila persone al giorno si collegano alla mappa per perdersi fra i suoni delle foreste mondiali, dal cuore della Loira alla scozzese Glenn Doll fino al rifugio faunistico Marguerite-D’Youville di Châteauguay, in Quebec, o alla yus Conservation Area di Papua New Guinea. Un autentico e ipnotico giro del mondo fra cinguettii, rumori di ogni genere, onde che si scontrano sugli scogli, sinfonie del sottobosco incise fra i rami dal vento. C’è ovviamente anche un elemento in più legato a ricerca e conservazione. “La mappa serve anche come archivio degli ecosistemi, che sono trasformati in modo molto rapido dal cambiamento climatico – ha aggiunto una delle ideatrici – è ben chiaro che il tempo speso in mezzo alla natura può aiutare ad abbassare il battito cardiaco e aumentare il benessere complessivo. Se non possiamo trascorrere del tempo fra gli alberi, questo è almeno un aiuto”. Alla prossima edizione del festival, fra l’altro, gli artisti dovranno trarre ispirazione proprio da questo enorme archivio sfornato in crodwsourcing per realizzare i propri lavori: l’organizzazione ha per esempio chiesto ai musicisti Erland Cooper, Hinako Omori e Jason Singh di sfruttare la “soundmap” per accompagnare le loro performance del prossimo anno.
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