È ormai da parecchi anni che Netflix è diventata un’istituzione anche in Italia nella fruizione di film, serie tv e simili. La piattaforma streaming nel corso degli anni è cresciuta tanto da diventare qualcosa di più di un semplice contenitore per produzioni altrui, diventando lei stessa produttrice di contenuti originali. Una tendenza che ha dato i suoi frutti, con film diretti da registi famosi e cast stellari arrivati persino agli Oscar e serie tv di successo planetario. Ora però qualcosa nelle logiche di mercato interne sembra essere cambiato, a prescindere dalla pandemia che comunque ha aiutato.
Serie cancellate
A inizio ottobre Netflix ha deciso che Glow, la sua serie sul wrestling femminile ambientata negli anni Ottanta, non avrà la quarta stagione con cui nell’agosto 2019 la stessa Netflix aveva promesso che la serie si sarebbe conclusa. Si tratta solo del più recente caso di quello che sembra essere un più profondo e importante cambio di rotta di Netflix, che già da qualche anno sta chiudendo molte delle sue serie dopo un paio di stagioni, e che in futuro potrebbe farlo sempre di più. Le restrizioni, le limitazioni, i rallentamenti e gli aumenti di costi dovuti alla pandemia da coronavirus, oltre alla troppa distanza tra una stagione e l’altra, potrebbero essere motivi legati al coronavirus. È vero però che ci sono altre serie che fanno passare più di un anno tra le stagioni, e che ci sono serie per cui Netflix e altre aziende hanno deciso che valga la pena di investire nonostante i tempi dilatati e i costi gonfiati dalla pandemia. I dati sulle serie rinnovate e cancellate dicono che ormai da qualche anno – e quindi già da prima della pandemia – Netflix cancella sempre più serie e che la durata media (in stagioni) delle nuove serie si accorcia. Tra gli addetti ai lavori molti dicono che ormai solo due tipi di serie superano la terza stagione: le serie davvero di successo globale (come Stranger Things) e le serie capaci di appassionare e soddisfare una nicchia relativamente precisa e decisiva di spettatori, che può essere geografica oppure di spettatori con gusti e interessi specifici. Sembra però che – molto più che in passato – per durare più di tre stagioni una serie debba dimostrarsi davvero proficua dal punto di vista finanziario, utile a guadagnare o conservare un certo numero di abbonati. Come ha scritto Vulture, Netflix «tende a credere che per reclutare e trattenere abbonati serva un immenso e sempre mutevole assortimento di nuovi programmi».
Un’evoluzione graduale
Per Netflix le cose non sono sempre andate così. All’inizio, quando l’azienda doveva arricchire il suo catalogo di contenuti originali, era piuttosto spregiudicata. Nei primi anni dei suoi Netflix Originals, più o meno tra il 2011 e il 2016, l’azienda era nota per il suo grande e sfacciato impegno nei suoi progetti: House of Cards è nota, per esempio, perché ne furono ordinate due stagioni ancor prima che ne venisse girata la prima scena, quando ancora era pratica comune girare un episodio pilota, di prova, per poi decidere se finanziare il resto della prima stagione. «All’inizio Netflix operava come se i soldi crescessero sugli alberi», ha scritto Bloomberg. «Se eri un regista, uno sceneggiatore o un attore almeno un po’ noto, potevi avere budget apparente illimitati e la libertà creativa di far crescere la tua idea». Poi, il cambio di rotta. Netflix ormai non è più una realtà emergente ma il potere costituito, in grado di esercitare più controllo su come spende, comportandosi come una più tradizionale azienda del settore televisivo, con la differenza che sono i dati a contare più di ogni altra cosa, anche della critica e della reputazione. Netflix si trova un po’ a metà tra Hollywood e la Silicon Valley, e a metà tra i nuovi servizi di streaming che le fanno concorrenza e i canali più tradizionali con cui si era messa in concorrenza. Da un lato sta diventando più cauta (come molte aziende “tradizionali”), dall’altro sta prendendo decisioni diverse da quelle che probabilmente avrebbero preso – o prenderebbero – quelle stesse aziende tradizionali.
Le cause di questa politica
Una prima ragione sta nei numeri. Rispetto alla concorrenza, Netflix produce più serie: è naturale, quindi, che ne cancelli anche di più. Sono dati da prendere un po’ con le pinze – includono prodotti ibridi e scelte non necessariamente definitive – ma nel 2020 Netflix ha cancellato 18 serie, 14 delle quali dopo una sola stagione. Ma è anche vero che – a livello globale e prendendo un po’ alla larga il concetto di “serie” – le nuove produzioni di Netflix sono diverse decine ogni anno, secondo certi calcoli addirittura più di 100. A parità di costi, non rinnovare certe serie permette di produrne di nuove. Per diventare sempre più padrona del suo catalogo, senza dover dipendere da contenuti altrui – che costano e che si possono trasmettere solo per un certo periodo di tempo – Netflix deve produrre quante più serie possibili. Già nel 2018 Ted Sarandos, attuale co-CEO e capo dei contenuti di Netflix, disse: «Più abbiamo successo e più mi preoccupo perché so che i network televisivi non vorranno darci in licenza i loro prodotti. I contenuti originali sono indispensabili: servono per far sì che gli utenti sentano di non poter vivere senza Netflix». Netflix, in altre parole, può permettersi di cancellare serie perché sa che ogni anno ne arrivano tante nuove, e preferisce investire in qualche possibile nuovo grande successo piuttosto che continuare a spendere in un contenuto dai risultati magari buoni ma non ottimi. Nei suoi primi anni, invece, Netflix aveva bisogno di crearsi un solido catalogo di serie che avrebbero potuto diventare dei “classici”, qualcosa in grado di portare risultati (cioè spettatori e abbonati) anche nel lungo termine. Ora che quel catalogo è in parte creato, può permettersi di provare tante cose, e confermare solo le migliori. Il fatto che le serie di Netflix siano sempre più corte, poi, ha ragioni ancora più grandi. Un tempo una serie lunga diverse stagioni permetteva a chi ne detenesse i diritti di poterli vendere nel resto del mondo (o, col passare degli anni, ad altri servizi nazionali), ricavando soldi per ogni episodio trasmesso da altri. In breve, 100 episodi portavano più soldi di 20. Netflix, invece, è un servizio globale: in molti casi, quello che produce lo trasmette e conserva nel suo catalogo ovunque nel mondo, lasciando solo in certi casi e a precise condizioni che lo possano trasmettere anche altri. Netflix non produce serie per venderle: le produce per guadagnarsi nuovi abbonati. E una volta che sono arrivati punta a conservarli offrendo loro cose sempre nuove, e non solo l’ennesima stagione di quella serie con cui magari li aveva convinti ad abbonarsi. Un’altra ragione è che, in genere, più una serie procede con le stagioni più diventa costosa (guardate come si è evoluta Stranger Things). Senza contare che, come ha spiegato Deadline, di solito più le serie procedono e più gli autori guadagnano (cosa che, presumibilmente, restringe la fetta di guadagni di Netflix). E che Netflix si assicura sempre che, almeno per un certo periodo di tempo, la concorrenza non possa prendere e proseguire una serie che ha deciso di cancellare.
Leave A Reply