Milano, 20 novembre 2020 – La seconda ondata della pandemia ha prolungato la durata dello smartworking allontanando, in particolare in alcune aree d’Italia, la prospettiva di un rientro fisico a pieno regime per tutti i dipendenti. Sono comunque molte le aziende che, negli ultimi mesi, hanno disposto un ritorno in presenza parziale e facoltativo, adeguandosi alle norme di sicurezza. Alla luce di queste nuove considerazioni, si è svolta la seconda fase della ricerca “Le modalità lavorative dopo il lock down: quale Smart Working?”diANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager, e Aon, volta a indagare, dopo la prima survey di marzo, come sia cambiato il rapporto con lo smartworking rispetto al periodo di lock down e fotografando il nuovo approccio del tessuto imprenditoriale italiano alle modalità di lavoro alternativo.
Sul piano pratico, che ha vistorientrare in modo prevalente in sede solo il 16% dei lavoratori, gli italiani hanno apprezzato i vantaggi di una maggiore flessibilità lavorativa: potendo scegliere, il 58% dei lavoratori bilancerebbe durante la settimana giornate in ufficio e lavoro da remoto, con una leggera prevalenza del secondo. Pianificazione, gestione e controllo delle attività a distanzasembrano non costituire più una grande difficoltà: se durante il lock down erano al primo posto delle preoccupazioni dei rispondenti, con il 33%, ora il dato è dimezzato (17%). Ulteriormente smentiti anche i problemi di produttività, che passano dal sesto al nono posto. Il campione maschile sostiene inoltre, in misura doppia rispetto a quello femminile, che la propria azienda sia stata impattata in maniera importante dalle problematiche nei rapporti con clienti o terze parti: ne è convinta una percentuale di uomini quasi doppia rispetto alle donne (28% vs 17%).
Permangono, invece,talvolta rafforzate, alcune criticità individuate ad aprile: quelle organizzative e/o di comunicazione interna (27%), e quelle relative allo stato d’animo e ingaggio dei lavoratori (26,7%), entrambi risaliti in classifica rispetto alla prima indagine. Proprio le fasce più giovani (under 35), insieme alle donne, sono risultate le più sensibili a questi aspetti, con una percentuale maggiore rispetto al campione generale. I dati indicano dunque come la modalità di lavoro da remoto, se da un lato ha superato con successo le iniziali difficoltà pratiche e organizzative, a lungo andare mostri invece criticità nelle modalità di comunicazione e negli aspetti più psicologici e relazionali.
È interessante notare come questi dati cambino profondamente in base alle fasce d’età e al genere. Poco più del 30% degli over 56 tra maggio e settembre ha continuare a lavorare da casa, contro il 60% degli under 35: questo è probabilmente dovuto al fatto che è stato preferito e facilitato il rientro in azienda delle figure chiave e/o apicali, che il più delle volte coincidono con professionisti più maturi. E se più di un giovane su dieci sceglierebbe di lavorare sempre e solo da remoto, la proporzione si inverte tra gli over 56, che invece preferirebbero dove possibile tornare alla scrivania.
Per quanto riguarda lo spaccato di genere, tra maggio e settembre più della metà del campione femminile (54%) ha lavorato a distanza, situazione in cui si è invece trovato poco più di un professionista uomo su tre (35%).È forse una conseguenza di questa disparità anche il fatto che sono proprio le donne (75%) ad affermare di poter svolgere in remoto una quantità maggiore del proprio lavoro, contro il 65% degli uomini.
QUALI BENEFICI?
Tra maggio e settembre, con la possibilità per la maggior parte dei lavoratori di alternare le due modalità lavorative, la percezione dei vantaggi della propria condizione è rimasta pressoché invariata: al primo posto lapossibilità di costruire un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (43%), beneficio principale evidenziato soprattutto dalle fasce più giovani e in particolare dagli under 35 (57%). Seguono l’ottimizzazione del tempo (40%) e la possibilità di gestire con più autonomia gli orari e i carichi di lavoro (34%), un aspetto sottolineato più dagli over 56e dal campione maschile, e probabilmente frutto di una visione più pragmatica dell’attività lavorativa. Per gli under 35, inoltre, è stato poi molto rilevante il risparmio economico, al secondo posto con il 44%. Un aspetto la cui importanza è stata sottolineata anche dal genere femminile.
È interessante notare come, in generale, gli uominiabbiano dato risposte orientate primariamente agli aspetti professionali epragmatici, della quotidianità, mentre le donne abbiano assegnato più rilevanza all’ambito organizzativo/gestionale e al bilanciamento tra vita familiare e lavorativa: per una rispondente su tre una delle conseguenze positive del remoteworkingè stato il minore stress (tra gli uomini l’ha citato solo il 23%). Le donne hanno inoltre riscontrato maggiore facilità di concentrazione sul lavoro, in misura doppia rispetto ai colleghi (18% vs 10%).
DONNE E GIOVANI: UNA LINEA DI PENSIERO COMUNE
Secondo i dati raccolti da ANRA e Aon, il genere femminile e il cluster degli under 35 condividono su molti aspettila stessa visione. I due gruppi presentano diverse analogie, dalla maggiore attenzione per i risvolti sociali e psicologici, alla poca fiducia dimostrata nella capacità di evoluzione – soprattutto culturale – delle imprese, fino alla convinzione che lo smartworking porterà benefici alla società nel suo complesso.
La ragione è probabilmente da ricercarsi parallelamente in una visione più comunitaria e meno individualista della situazione (chi per questioni anagrafiche, chi per propensione e storicità d’attenzione all’altro), e in parte nella comune situazione di svantaggio da cui queste due categorie si trovavano già prima della pandemia nel mercato del lavoro, il che li rende anche più esposti ai futuri impatti negativi del Covid-19 sull’occupazione e sulle possibilità di carriera.
“Per essere competitivi nello scenario odierno, così mutevole e dinamico, è necessario un cambiamento culturale più profondo, adattarvisi non basta più. La fiducia che le nuove generazioni e le rappresentanze femminili ripongono negli impatti positivi di una rivoluzione smart ha come contropartita una disillusione nei confronti delle organizzazioni, associata alla ritrosia culturale del top management”, commenta Gabriella Fraire, Consigliera ANRA, ”Cultura e leadership rappresentano due facce della stessa medaglia: il leader è colui che crea, diffonde e gestisce la cultura di un’organizzazione ma rappresenta anche il principale ostacolo al cambiamento, poiché tende alla conservazione dello status quo, per via della sua natura pervasiva. E se da una parte questo è il segnale di una generazione più propensa a mettere in secondo piano gli impatti negativi individuali in nome di un bene collettivo per una prospettiva futura più sostenibile, dall’altra parte le imprese si trovano a dover lottare con le implicazioni psicologiche e i risvolti culturali che ne derivano.”.
Tuttavia, donne e giovani sono anche quelli che sembrano possedere tutte le caratteristiche che si stanno rivelando indispensabili per completare una vera transizione allo smartworking: capacità organizzative e gestionali, attenzione al benessere del lavoratore, spinta alla sostenibilità dell’ambiente di lavoro e dell’azienda.
“Siamo particolarmente fieri del lavoro svolto nel realizzare questa ricerca unica nel suo genere, che ha come obiettivo quello di approfondire come stia reagendo la filiera del risk ed insurance management ad una trasformazione epocale delle modalità di lavoro ed interazione fino a poco tempo fa inimmaginabili”, conclude Alessandro De Felice, Presidente ANRA, “La nostra community, composta da Risk Manager, intermediari, Assicuratori, Periti ed imprenditori ha mostrato una capacità di adattamento molto rapida, seppur con i limiti e le problematiche che analizziamo, e vede un futuro in cui è in grado di selezionare gli aspetti positivi del ‘remote working’ – quali ad esempio l’accelerazione nell’utilizzo delle tecnologie di connessione remota e la gestione del proprio tempo e responsabilità in autonomia – per realizzare un vero ‘smartworking’ nella dimensione della nuova normalità.
CHI È ANRA
ANRA è l’associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali. L’associazione opera attraverso la sede di Milano e vari corrispondenti regionali. ANRA è il punto di riferimento in Italia per diffondere la cultura d’impresa attraverso la gestione del rischio e delle assicurazioni in azienda. Si relaziona con le altre associazioni nazionali di risk manager in Ferma, a livello europeo, e in Ifrima a livello internazionale. ANRA è costituita da Risk Officer, Risk Manager ed Insurance Manager che operano quotidianamente nella professione e che trovano vantaggio nello scambio continuo delle proprie esperienze e nella condivisione di progetti a beneficio dello sviluppo del settore. Complessivamente, le aziende pubbliche e private di cui fanno parte i soci rappresentano un fatturato complessivo di oltre 430 miliardi (pari a circa il 25% del PIL).
Nella piena convinzione che l’esperienza sia il miglior argomento per diffondere la cultura del risk management, ANRA organizza incontri aperti a professionisti ed aziende su tematiche inerenti al rischio aziendale, corsi di formazione per nuove figure e scambi di esperienze con colleghi stranieri. Nella sua attività di supporto a manager ed imprese, ANRA si appoggia a molti partner, come enti universitari, società di consulenza, compagnie assicurative, broker, società di servizio nell’ambito del rischio d’impresa: con le loro competenze specifiche, tutti questi attori portano valore aggiunto ai membri dell’associazione e alle loro imprese. Dal giugno 2016 ANRA promuove “alp” – ANRA Learning Path – la nuova Accademia ANRA per la formazione dei professionisti della gestione del rischio, riconosciuta e certificata RIMAP a livello europeo. www.anra.it
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