“The day after lockdown”, un possibile titolo allo scenario apocalittico restituito dalle grandi città come Milano.
South Working e “fuga di cervelli”
Agosto ha lasciato le città con pochi turisti in giro, uffici vuoti e bar senza avventori, per non parlare di tutti quei ristoranti in cui era obbligatorio prenotare per trovare posto a sedere ora sono sì e no aperti. La domanda che sorge spontanea è quanto di tutto questo sia destinato a durare. Ci si pone questo interrogativo come conseguenza sociale ed economica di quello che è stato rinominato “south working” cioè la fuga dei lavoratori e degli studenti fuori sede tornati subito nei loro paesi d’origine. Lì sono rimasti, continuano a lavorare dalle loro case, disdicendo a catena affitti e restituendo chiavi con tutto ciò che questo comporta: bar e ristoranti senza clienti fissi né turisti, negozi e palestre vuote. Quello che poteva essere un fenomeno legato alla fine del lockdown non sembra più un fenomeno momentaneo, si sta infatti prolungando perché gli esami e le lezioni dell’università sono a distanza, il lavoro nella maggior parte degli uffici continua in smart working e quindi mantenere affitti e seconde case lontano dalle proprie famiglie non ha senso.
La desertificazione economica
Il risultato di questa nuova situazione è la crisi economica di tutte quelle città che sui fuori sede hanno edificato la propria economia. Secondo una stima de Il Sole-24Ore, riportata da Pambianco, in 20 anni Milano ha guadagnato circa 100mila residenti provenienti da altre regioni d’Italia, soprattutto dal Mezzogiorno. Una parte di essi, a causa della pandemia, è tornata a casa, continuando a lavorare, ma non consumando più a Milano. “In questo momento, è difficile calcolare una perdita media del comparto in città, perché ogni quartiere fa storia a sé”, ha spiegato a Business of Milan Carlo Squeri, segretario generale di Epam-Confcommercio. “In pieno centro, la perdita di fatturato per alcuni locali si può misurare nell’ordine del 75% e la situazione peggiore è legata alle attività diurne, proprio perché gli uffici sono chiusi e i dipendenti non escono a pranzo”.
Le prospettive
C’è grande incertezza. Si prevede un ritorno alla normalità, sicuramente, ma il tutto in chiave graduale, e non ai livelli precedenti. Lo smartworking esisteva già in precedenza, tuttavia ad oggi sta vivendo un momento di boom con il quale ogni ufficio prima o poi dovrà necessariamente fare i conti. Per alcune aziende, questa modalità di lavoro è diventata l’unica per far sopravvivere molte imprese. “Milano era una città nella quale circolavano tre milioni di persone al giorno, il doppio dei suoi abitanti”, ricorda il segretario di Epam. Oggi la città è solo o quasi dei milanesi, non dei turisti, degli uomini d’affari e nemmeno degli studenti. Ciò che sta succedendo a Milano non è un caso isolato, nonostante sia, in Italia, la città più colpita dal “south working”. Nel mentre, se al nord si fanno i conti con queste problematiche, al Sud si sorride. Questo periodo di emergenza sanitaria ha costretto il mondo del lavoro a livello globale a fare i conti con il lavoro agile a distanza. E se si può trarre qualcosa di buono, per quanto riguarda questi ambiti, nasce forse la possibilità, per i territori del Sud, di accogliere lavoratori di aziende basate altrove stabilmente in smart working.
Costanza Falco
Leave A Reply