Una bellissima iniziativa per dimostrare che tutti possono essere utile e tutti possono dare una mano in questa emergenza che stiamo affrontando ormai da diverse settimane. Un’occasione anche di riscatto sociale, per persone che hanno un grande desiderio di rivalsa e che hanno bisogno di ricordarsi di far parte di una comunità, di un “tutto”. I protagonisti sono i 1.200 detenuti del carcere di Bollate, che hanno raccolto 1.405 euro da donare alla Protezione Civile e 250 kg di generi alimentari per il Banco Alimentare della Lombardia. Un’altra dimostrazione di quanto l’Italia sia solidale, come abbiamo scoperto con piacere soprattutto vista la difficile situazione che necessitava proprio di una nazione unita. A Bollate dunque i detenuti sostengono Banco Alimentare e Protezione Civile.
Un’iniziativa sorprendente, ma che non sorprende
Sembra sorprendente un gesto di solidarietà da chi è considerato “ultimo” per eccellenza, da chi ha perso il diritto di partecipare alla vita del Paese. Sembra sorprendente, o forse no. Ne parla Roberto Bezzi, capo dell’area educativa del carcere di Bollate dal 2004, che lavora nell’istituto “a vocazione trattamentale”, attivo dal 2000 che ha l’obiettivo di realizzare su “grande scala” un progetto a custodia attenuata per la graduale inclusione sociale dei detenuti. Un modello che si fonda sui principi di responsabilizzazione dei detenuti, su una vigilanza dinamica e integrata tra gli operatori, e una forte integrazione con il territorio.
“L’idea – dice Roberto Bezzi – è partita da un piccolo gruppo di detenuti che è venuto a chiederci il permesso per poter fare la colletta. È partito tutto da loro, questa è la cosa più interessante”. La struttura ospita 1.200 persone, divise in 8 reparti. Per ogni reparto è stato nominato un portavoce che ha girato camera per camera a raccogliere le firme per le donazioni in denaro e i generi alimentari. “L’adesione è stata altissima e spontanea, praticamente immediata. Ognuno ha donato quello che poteva, anche chi possiede poco ha voluto contribuire.”
La lettera dei detenuti
Gli autori delle donazioni hanno voluto accompagnare il tutto con una lettera.
“Siamo i detenuti della casa di reclusione Milano-Bollate e vorremmo raccontare come cerchiamo di dare anche noi un contributo al nostro Paese”. Così si apre la lettera in cui i detenuti raccontano l’iniziativa e le loro intenzioni. Dalla grande preoccupazione per il virus è nata la volontà di dare una mano: “anche noi che facciamo parte dell’ultima classe sociale ci siamo attivati per una raccolta fondi da destinare alla Protezione Civile”. Dopo i ringraziamenti al personale sanitario, alla Protezione Civile e ai volontari, si legge un ringraziamento alla direzione e all’area educativa dell’istituto. “Ma soprattutto ringraziamo a chi ancora crede in noi”.
Un gruppo piuttosto ampio si è già proposto di dare il proprio contributo volontario laddove servirà, quando si potrà tornare fuori. “C’è la volontà di lavorare per gli altri, sentirsi parte attiva”, aggiunge Bezzi. “Loro che vivono la reclusione capiscono cosa significa vivere con delle limitazioni alla propria libertà. Hanno sentito di essere particolarmente solidali a chi è ‘libero’ perché meno libero ora. Anche se per loro si tratta di un momento ancora più duro”, ha detto ancora il capo dell’area educativa del carcere. Molte attività educative e culturali sono state bloccate, i colloqui sono fermi, volontari e operatori esterni non entrano più. Rimangono, ridotte, le attività lavorative, e si stanno attivando gli esami scolastici via internet.
Il sostegno ai detenuti del carcere
Proprio per queste ulteriori limitazioni, spiega Bezzi, “noi siamo ancora più presenti. Manteniamo un canale di comunicazione diretto con tutti, spiegando cosa succede e cosa stiamo facendo per loro. Ci stiamo vivendo ancora di più come una comunità penitenziaria. Siamo qui tutti insieme e dobbiamo trovare delle strategie per sopravvivere insieme”. Ad esempio, i colloqui con i familiari si svolgono via Skype e sono stati incrementati. “Inoltre, sul fronte esterno abbiamo portato avanti il differimento della pena per tutti coloro che potevano accedervi per termine di legge, come gli ultrasettantenni con patologie. Laddove era possibile far qualcosa ci abbiamo provato, e questo crea un clima positivo. C’è preoccupazione, ma non tensione.”
La casa di reclusione di Bollate è considerata un esempio positivo di carcere che mira al reinserimento sociale dei detenuti. In condizioni normali, sono molte le attività lavorative, artigianali, ludiche e culturali svolte all’interno del centro. Sono anche molti i detenuti ammessi al lavoro all’esterno, ai sensi dell’Ordinamento Penitenziario e che, al momento, sono in attesa di ricominciare a percorrere la loro strada. È proprio la forte integrazione con il territorio uno degli elementi indispensabili per il reinserimento. La voglia di aiutare il proprio Paese, la voglia di sentirsi parte attiva e positiva in questo momento difficile la dice lunga sull’efficacia di un approccio simile. “L’idea del “carcere diffuso”, cioè che sia un po’ di tutti e un po’ ovunque, credo che sia l’unico modo di pensare ad un carcere che possa essere efficace”, ribadisce Roberto Bezzi.
Leave A Reply