La cucina italiana è senza dubbio una delle più conosciute e apprezzate nel mondo, questo si sa. La sua grande forza è la grande varietà che la contraddistingue, senza contare le materie prime di alta qualità. Per la maggior parte di noi, inoltre, cucina italiana significa piatti che evocano episodi e affetti.
La storia della cucina italiana ha subito l’influenza di tutti i popoli che, nel corso dei secoli, hanno lasciato il loro segno. Da sempre il mangiar bene e di qualità sono caratteristiche che hanno caratterizzato il modo di concepire il cibo, soprattutto quello della cucina italiana.
Oggi sono le ricette tradizionali, quelle semplici, quelle delle nostre nonne a fare la storia della cucina italiana ed è proprio sui piatti tipici della tradizione culinaria italiana che si basano le regole alimentari della nostra Dieta Mediterranea, nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.
Cucina Vintage, il libro di Maria Teresa di Marco e Marie Cecile Ferrè con illustrazioni d’epoca recuperate, è un’incursione nella storia della cucina divisa per decenni. Racconta quel che di specifico andava di moda: un filo rosso capace di raccontare però anche come eravamo e perché.
Ecco, decennio per decennio, i piatti e le pietanze che hanno segnato la storia della cucina italiana.
1910
Questo decennio è caratterizzato dall’abbondanza di carni e di intingoli, dalla Zuppa alla Spagnola (un brodo ricco di carni) al Bue alla California, dalla torta Margherita allo zabaione.
1920
Sono stati anni di esotismo e contaminazioni, sempre con un cocktail in mano. È il decennio del viteltonnè (un umido di carne, ricetta in parte diversa da quella dei tempi più recenti) e dell’insalata russa.
1930
In questo decennio, di moda erano i tramezzini (termine ideato da D’Annunzio), canapè e dolci alla francese come la popolare ‘isola galleggiante’ (ile flottante).
1940
La cucina degli anni Quaranta sembra inventare il cibo che non c’è. Le patate sono le grandi protagoniste della cucina dei tempi difficili ma anche il ricordo concreto della fame arginata dalle nostre nonne, la cui arte sottile non si limitava a tentare di riempire la pancia, ma mirava a preservare l’estro del sapore, dunque della normalità. Perché durate la guerra è al cibo di pace che si pensa, a costo di inventarsi gli ingredienti per un “ragù finto” (ancora oggi qualcuno chiama così quello di verdure a dadini, spezie e pomodoro) e una maionese che fa a meno quasi di tutto.
1950
Lo stereotipo della cucina italiana all’estero assomiglia probabilmente da vicino alla cucina dei nostri anni Cinquanta, fatto di polpette al sugo, pasta al forno la domenica, frittata di cipolle mangiata sulla spiaggia. Sono anni di ricostruzione e di consolidamento, rassicuranti, abbondanti e pasciuti. Contiamo su solide radici contadine e popolari, siamo impegnati a crescere a suon di pasta, uova e sugo.
1960
In tavola si gioca sulla scenografia e sul colore. Vanno forte gli stuzzichini e gli aperitivi di ogni sorta, si adora il buffet in ogni sua declinazione, i piatti che fanno sensazione e ogni genere di attrezzo “moderno”. Il pollo è ormai un prodotto industriale, la margarina si vanta di essere leggera, la pubblicità e il supermercato cambiano per sempre gli orizzonti delle dispense. In tavola il cocktail di scampi in salsa rosa, volauvent alla besciamella, pollo in tutti i modi e torta rovesciata all’ananas.
1970
Plastica e fiori, gli anni Settanta in cucina sono anni di contrasti, accesi quanto i colori sui vestiti. Poche le mezze misure. Così, se da una parte il cibo industriale, la pentola a pressione, i surgelati la fanno da padroni, dall’altra è proprio in questi anni che si sceglie la via dell’autoproduzione, si torna alla campagna, si fa lo yogurt in casa, si mangiano semi. Nelle riviste e nei menu dei ristoranti abbondano le gelatine, gli aspic, la panna e la maionese. Resiste bene l’amore del decennio precedente per il buffet di antipasti decorati, mentre si anticipa la predilezione degli anni Ottanta per i primi piatti (risotti, paste e tortellini) e l’associazione salato-frutta.
1980
Anni edonisti anche in cucina e dunque anche del junk food per eccellenza, quelli dello sbarco dell’hamburger in Italia. Ma anche di un esotismo raffazzonato che contempla cuori di palma e polpa di granchio, i primi risi cantonesi e gli involtini primavera. Affiorano i ricordi di cene con pennette lisce alla vodka, i risotti alla fragola o allo champagne, il carpaccio rucola e grana e quantità considerevoli di cibi confezionati (gelati e merendine soprattutto).
1990
Gli anni Novanta sono gli anni riflessivi in cui siamo in gran parte ancora immersi, gli anni in cui si consolida e si esprime il movimento di Slow Food (nato in realtà proprio negli anni Ottanta). Sulla tavola quotidiana resistono alcune abitudini del decennio precedente, ma in generale il cibo si sgrassa, si affina, si diversifica. Si guarda alle ricette straniere perchè si viaggia di più e al ritorno si replica che sia hummus mediorientale o burrito messicano. Nei mix con cibi di altre culture spopolano le prugne al bacon e la cheescake e non è domenica se a tavola non ci sono le crepes ai funghi.
2000
Gli anni 2000 sono quelli delle ricette on line, dei blog di cucina, dei programmi come Masterchef che stimolano la fantasia, rendono possibili ricette ardue, ci fanno stare attenti alla forma estetica (l’impiattamento) e mescolare dolce e salato, morbido e croccante, frutta e carne in associazioni “sensoriali”. Nei partyfingerfood immancabili, in cucina a provare macaron francesi e cupcakes anglosassoni. La cucina della salute, quella che nutre senza troppi danni o addirittura cura è la macro tendenza. E l’avocado toast è incluso.
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