Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, ma a farlo sul governo britannico ci ha pensato il settimanale inglese Economist. Che senza troppi giri di parole punta il dito in maniera dritta e precisa. Sono tanti i motivi per cui questo governo ha fallito in tutto e per tutto. Sottovalutazione del problema, un numero maggiore di morti rispetto agli altri Paesi d’Europa e riaperture tardive rispetto alla normalità.
Una serie di fattori che indicano come la gestione globale dell’emergenza sia stata pessima sotto ogni punto di vista. Il Regno Unito è il paese europeo che continua a registrare in media più contagi ogni giorno: sono oltre 1.300, contro i circa 300 dell’Italia. Ed è anche quello in cui sono stati confermati più casi positivi (300.469) e più decessi (42.288) dall’inizio dell’epidemia.
Il disastro anglosassone
Come riportato da Il post, il governo raccomanda ancora di stare a casa il più possibile, e i negozi non essenziali hanno riaperto soltanto il 15 giugno. Alcune scuole invece hanno riaperto o riapriranno a luglio, a differenza di quanto avviene in Italia. La curva dei contagi del Regno Unito è scesa visibilmente meno rispetto a quella degli altri paesi europei. «I cittadini britannici si stanno chiedendo come sono arrivati ad avere un tasso di mortalità complessivo più alto di tutti gli altri paesi ricchi, Perché uscire dal lockdown sia così complicato». dice l’Economist.
Quando nella prima metà di marzo i paesi europei, Italia per prima, cominciavano a imporre le misure di lockdown, le chiusure e il distanziamento sociale, il Regno Unito si comportava diversamente: il 7 marzo a Londra si teneva una partita di rugby alla presenza dello stesso Johnson, con oltre 80mila persone; l’11 marzo il Liverpool giocò in un Anfield Stadium gremito, con 3mila tifosi provenienti dalla Spagna per sostenere l’Atletico Madrid; tre giorni dopo si concludeva il Cheltenham Festival, che aveva attirato 250mila appassionati di ippica.
Impatto positivo
Il lockdown nel Regno Unito arrivò soltanto il 23 marzo. Dieci giorni prima, il governo aveva segnalato l’impatto “positivo” delle visite famigliari nelle case di riposo, che in Italia erano chiuse a chiunque da due settimane. L’Economist stima che un ospite su 14 delle case di riposo britanniche sia morto per il coronavirus.
Ci sono delle cause indipendenti dalle decisioni del governo: i britannici sono mediamente più sovrappeso degli altri europei, ci sono più persone di minoranze etniche tra le quali sono più diffusi diabete e malattie cardiovascolari, e Londra, con i suoi centinaia di voli quotidiani in arrivo, ha probabilmente ricevuto persone infette da molti paesi.
Ma nonostante avesse avuto tempo per osservare la prima risposta in altri paesi, come Italia e Spagna, il governo britannico aveva tenuto un approccio iniziale autonomo e piuttosto azzardato. Proteggere le persone vulnerabili, ma imporre soltanto restrizioni minime sul resto della popolazione, in modo da far circolare il virus e costruire un’immunità di gregge. Il governo si fidò degli esperti del Scientific Advisory Group on Emergencies (SAGE), che inizialmente non raccomandò la sospensione dei grandi eventi, ritenendo non fosse una misura molto efficace nel contenimento del contagio. «Adesso è chiaro che gli scienziati britannici, inizialmente, suggerirono l’approccio sbagliato».
L’istinto
Johnson voleva proteggere l’economia, dice l’Economist, secondo cui «ha seguito il suo istinto liberale» e «ha ascoltato i consigli che voleva sentire», come ha sostenuto Lawrence Freedman del King’s College di Londra. Intorno alla metà di marzo, con l’emergere di più dati sulla circolazione del virus, fu evidente che la strategia doveva essere cambiata. Ma questa transizione avvenne lentamente, «con il risultato che quando il paese fu chiuso il virus si era diffuso più estesamente che in Francia, Spagna o Italia». Neil Ferguson, epidemiologo dell’Imperial College London, ha stimato che se il Regno Unito avesse imposto il lockdown una settimana prima le morti sarebbero state la metà, o meno.
L’Economist critica anche la gestione britannica dei test, e in particolare il ritardo nel coinvolgere anche i laboratori privati e universitari. La confusione iniziale sulle mascherine, che ha riguardato un po’ tutti i paesi, si è protratta poi molto più a lungo nel Regno Unito. Dove ancora il 21 aprile il SAGE disse che le prove a sostegno della loro efficacia erano “deboli”, pur raccomandando di indossarle nei luoghi affollati. Soltanto il 15 giugno il governo le ha rese obbligatorie sui mezzi pubblici. Tuttora non sono obbligatorie nei negozi. «Perché il Regno Unito ci abbia messo così tanto non è chiaro. Probabilmente è stato un misto di mentalità campanilistica che ha impedito di osservare le strategie migliori adottate all’estero, e di una paura anglosassone di sembrare paternalistici».
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