Si chiude domani – sabato 24 giugno – alla Biblioteca Sormani la mostra “Salir per l’aria e confidarsi al vento” dedicata a un personaggio poco noto, ma estremamente importante nella storia della scienza e dell’esplorazione, Paolo Andreani. La rassegna è allestita proprio nei saloni che furono la sua dimora natale, dove il giovane Andreani progettò il volo in pallone, la propria impresa più nota, e che oggi è il palazzo della prestigiosa biblioteca milanese.
Scopo della mostra è riportare all’attenzione dei cittadini proprio questo aeronauta di cui quest’anno ricorre l’anniversario della morte. Milanese precursore del volo in pallone Andreani fu anche esploratore, alpinista ante-litteram e naturalista, un personaggio eclettico che segnò i decenni finali del Settecento, il Secolo dei Lumi.
Paolo Andreani e il fratello maggiore Gianmario non ebbero figli e il palazzo passò per eredità ai cugini Sormani.
I voli in pallone di Paolo Andreani
Interessante ascoltare dalle parole del curatore della mostra Marco Majrani la sua storia.
“La prima ascensione umana in pallone al di fuori della Francia, quarta in assoluto, dopo le due parigine di Pilâtre de Rozier e dei fisici Charles e Robert e quella di Lione del 19 gennaio 1784 con il gigantesco pallone Le Flesselles, fabbricato dai Montgolfier, avvenne in Italia, a Milano, precisamente nella località di Moncucco, presso Brugherio, nel giardino della villa di famiglia, il 25 febbraio 1784, dopo alcuni tentativi di prova nei giorni precedenti che si rivelarono non soddisfacenti. L’impresa fu opera del milanese conte Paolo Andreani (1763-1823), che la ideò e finanziò, e dei tre fratelli architetti Carlo, Giuseppe e Agostino Gerli, che avevano costruito l’aerostato nel tempo record di 24 giorni.
Nella navicella presero posto il giovane conte Andreani, a quel tempo ventenne, e due dei tre fratelli Gerli, Agostino e Giuseppe, mentre Carlo, che dei tre era l’incaricato della contabilità aziendale, restò a terra. Il pallone era un globo di straordinaria bellezza, perfettamente sferico, di “tela rovana”, foderata internamente con “carta di China”, di circa 23 metri di diametro (33 braccia milanesi). Sembrava una riproduzione del nostro Pianeta con paralleli e meridiani, evidenziati da 38 corde di sostegno verticali e 38 corde di contenimento orizzontali. Per la sua bellezza fu riprodotto al recto di una splendida e rara medaglia coniata in argento, metallo chiaro e bronzo dal famoso incisore A. Guillemard e in moltissime pubblicazioni coeve. L’involucro pesava 490 kg, la rete 123 kg, i tre piloti-passeggeri 196 kg, la legna e il bitume per il fuoco 83 kg, la cesta e il braciere 398 kg, per un totale di 1.290 kg. Il volo fu piuttosto breve, 25 minuti, ma riuscì perfettamente. L’atterraggio avvenne sulla frondosa chioma di un gelso.
Per una successiva ascensione del 13 marzo, l’ascensione “ufficiale” alla quale assistette tutta la nobiltà milanese, l’aerostato fu modificato e reso di forma più ovalare, aumentandone cubatura e forza di sollevamento mediante l’aggiunta di un paio di anelli in più nella zona equatoriale dell’involucro. A bordo, con Paolo Andreani, salirono Giuseppe Rossi e Gaetano Barzago, due lavoranti che avevano collaborato alla messa in opera della “macchina”. La mongolfiera salì a 1.537 m di quota (2.600 braccia), il volo durò ancora 25 minuti e si concluse a 8 km di distanza, presso Carugate”. L.G.
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