Continua la ricerca e lo studio del coronavirus, soprattutto per trovare un vaccino il prima possibile in modo da sconfiggere definitivamente la malattia. È necessario continuare a monitorare l’andamento del virus per capirne le peculiarità e non farsi cogliere di nuovo impreparati. Per questo scienziati e virologi in tutto il mondo stanno osservando e analizzando il Sars-CoV 2, e la scoperta dei ricercatori dell’Imperial College di Londra potrebbe cambiare lo scenario. Pare, infatti, che il Covid stia mutando e ora la domanda giusta da farsi è. Il virus sta diventando più pericoloso o si sta adattando all’uomo?
I risultati dell’osservazione
A prima vista sembra una mutazione banale. Dei circa 1.300 aminoacidi – gli elementi che costituiscono una proteina sulla superficie del coronavirus – solo uno, il numero 614, ha modificato le istruzioni genetiche. Nella nuova variante una “D” (acido aspartico) è stata sostituita con una “G” (glicina). Ma cìò che rende significativa questa mutazione è la sua posizione. Nella parte del genoma che codifica per l’importantissima “proteina spike”, la struttura sporgente che gli conferisce l’aspetto a corona. Ma soprattutto che consente al virus di entrare nelle cellule umane. E la sua ubiquità è innegabile. Dei circa 50.000 genomi del nuovo virus che i ricercatori di tutto il mondo hanno caricato in un database condiviso, circa il 70% porta questa mutazione, designata ufficialmente D614G, ma conosciuta più familiarmente dagli scienziati come “G.”
Un gruppo di esperti coordinato dai ricercatori dell’Imperial College di Londra, esaminando i genomi di oltre 7.600 pazienti di tutto il mondo, ha trovato quasi 200 mutazioni che, stando a quanto ipotizzato in base alle tipologie evidenziate, andrebbero nella direzione di un graduale adattamento all’uomo.
Per gli scienziati è essenziale capire come il genoma influenza il comportamento del virus. L’identificazione delle mutazioni consente infatti ai ricercatori di tracciare la sua diffusione. Non solo. Sapere quali geni influenzano il modo in cui il virus si trasmette permette anche di adattare gli sforzi della ricerca per contenerlo. Una volta che avremo terapie e vaccini su larga scala avere una conoscenza di base del genoma aiuterà a individuare precocemente l’instaurarsi di eventuali resistenze ai farmaci.
Gli altri studi accademici
Il Sars-CoV 2 sta dunque mutando. A dimostrarlo ormai sono numerosi studi condotti su casistiche di migliaia di persone. Tra le ultime spicca quella analizzata dai ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), uscita su BioRXiV, che ha preso in esame 5.000 pazienti di tutto il mondo e ha concluso che il virus muta molto, e lo fa in fretta e in modo variabile a seconda delle zone e di altri fattori. Ma quella che ha destato più allarme si riferisce proprio alla D614G.
Tutto è partito da un’analisi postata su BioRXiV dai genetisti dell’Università di Los Alamos, dalla quale era emerso che una delle mutazioni più frequenti, la “G”, riguardava la proteina su cui è concentrata la ricerca di vaccini e farmaci, la Spike o spina. Andava nella stessa direzione lo studio postato in seguito dai ricercatori dello Scripps Institute di Jupiter, in Florida, nel quale la mutazione più comune delle mutazioni era, di nuovo, la D614G. Si temeva che ci potesse essere un’evoluzione negativa del virus. Nelle ultime settimane, però, la comunità scientifica si è espressa in modo abbastanza concorde: si ritiene che questa mutazione potrebbe rendere il virus più contagioso, ma non più pericoloso.
Il parere dell’OMS
L’Oms, che si è espressa sul tema, ha invece sottolineato che le mutazioni viste finora, compresa D614G, non hanno influenza né sulla contagiosità, né sui vaccini e le possibili terapie in studio. Ma bisogna considerare anche le conseguenze delle mutazioni sulla diagnostica. Secondo uno studio turco, riferito dalla stampa non specializzata ma condotto dal vice rettore del Marmara Research Center of the Scientific and Technological Research Council di Instanbul, infatti, ci potrebbero essere conseguenze sui tamponi. Questi potrebbero diventare meno specifici proprio perché le sequenze che essi rilevano sono mutate.
In generale, il tasso di mutazioni sarebbe attorno allo 0,02%, un valore che può sembrare piccolo. Ma che assume le dimensioni reali quando confrontato a quello dei geni umani che, in media, mutano allo 0,001% dei casi. Non sorprende, tuttavia, che il coronavirus stia mutando molto. Intanto perché moltissimi virus sono caratterizzati da elevati tassi di mutazioni in qualunque condizione, e poi perché è possibile, come sostiene uno studio pubblicato su Infection, Genetics and Evolution, che il Sars-CoV-2 si stia adattando al suo nuovo, gradito ospite: l’uomo.
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